Chissà quanti, studiandolo da ragazzi, hanno pensato “che noia”, “ma questo non c’aveva altro da fare che scrivere libri e commedie?”… Stavate parlando niente-po-po-di-meno-che di un Nobel per la Letteratura.
Luigi Pirandello (1867-1936) è stato scrittore, poeta e drammaturgo e a lui si devono alcune delle opere più importanti della letteratura italiana di inizio Novecento e una vera rivoluzione nel teatro dell’epoca, con il ribaltamento di alcuni capisaldi del teatro borghese naturalistico e l’ingresso del teatro nel teatro.
La vita
Nonostante l’opposizione del padre, Pirandello scelse la strada degli studi umanistici, prima a Palermo e poi a Roma. Potendo contare su una famiglia benestante e sulla dote della moglie Antonietta, passava il suo tempo nei salotti letterari e si dedicava alla scrittura – tra i suoi primi lavori ricordiamo il romanzo L’esclusa e la raccolta di racconti Amori senza amore. Nel 1903, però, dopo il tragico allagamento nella miniera di zolfo in cui il padre aveva investito tutti i risparmi di una vita (oltre alla dote della nuora), la famiglia Pirandello subì un profondo dissesto economico e Luigi fu costretto a passare dalla condizione di cittadino agiato a quella di semplice borghese.
I romanzi
In questo periodo, a causa anche dei problemi di salute della moglie, che soffriva di crisi isteriche, si insinuò in lui il germe della trappola familiare, che imprigiona e soffoca l’uomo. Il rancore e l’insofferenza per il grigiore della vita piccolo-borghese acuirono il suo rifiuto irrazionalistico del meccanismo sociale alienante. Furono questi gli anni in cui Pirandello diede alle stampe Il fu Mattia Pascal, Si gira e I vecchi e i giovani.
La visione del mondo
Alla base della sua poetica ci fu una concezione prettamente vitalistica, che vedeva la realtà come un eterno divenire, un’incessante trasformazione da uno stato d’animo all’altro. Secondo Pirandello noi siamo parte indistinta dell’universo, ma cerchiamo di cristallizzarci in forme individuali, in una personalità che però è solo un’illusione. Anche gli altri ci danno delle forme, tutte diverse, tutte costruzioni fittizie che diventano maschere dietro cui ci nascondiamo. L’avvicinamento alle teorie freudiane di inizio Novecento portarono lo scrittore siciliano a sostenere la teoria della frantumazione dell’io, confermata anche dalla diffusione del lavoro meccanico che trasformava l’uomo in una macchina, cancellandone ogni interiorità.
I suoi personaggi trovano la salvezza da questa condizione di alienazione nell’immaginazione e nella follia: una volta compreso il carattere fittizio del meccanismo sociale, l’eroe si allontana per osservare la realtà da un’infinita distanza. Operazione che esegue anche lo stesso Pirandello, estraniandosi e rifiutando ogni ruolo politico attivo.
Il teatro
Dopo una prima fase marcatamente regionale, dove i personaggi recitavano in dialetto siciliano, Pirandello decise di spingersi oltre. L’ambiente popolare, infatti, era limitato e poco creativo. La maturazione lo portò a dare vita a personaggi ribelli e trasgressivi, soggetti con una coscienza ideologica alternativa, con una diversa visione del mondo e desiderosi di dare sfogo alla loro libera volontà. Pirandello scrisse più di 40 commedie, quasi tutte incentrate sul tema a lui caro della frammentazione della personalità, della verità molteplice e della crisi dei valori morali (temi ampiamente trattati anche nei suoi romanzi).
Gli anni a cavallo del 1915 segnarono il suo grande successo in ambito teatrale, grazie a veri e propri capolavori come Pensaci Giacomino!, Liolà, Così è (se vi pare), Il berretto a sonagli, Il piacere dell’onestà e Il giuoco delle parti. La grande rivoluzione nel linguaggio si ebbe con Sei personaggi in cerca d’autore (1921), primo esempio di metateatro, dove il drammaturgo portò sul palco l’incapacità del teatro borghese dell’epoca di rendere sulla scena ciò che lo scrittore aveva concepito, dovuto spesso anche alla mediocrità degli attori.
Dagli anni Venti al Nobel
Continuò, negli anni Venti, con la produzione letteraria, pubblicando racconti di novelle (Novelle per un anno) e un romanzo, datato 1926, Uno, nessuno, centomila. L’adesione al fascismo nel 1924 e l’attività pubblica come direttore di una compagnia teatrale dal ’25 al ’28, accrebbero la sua fama di letterato ufficiale e lo portarono, nel 1934, ad essere insignito del prestigioso titolo dell’Accademia svedese. Questa la motivazione: “For his bold and ingenious revival of dramatic and scenic art” (“Per lo schietto e geniale rinnovamento nell’arte scenica e drammatica”).