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LA MEDAGLIA DI PIPPIDiscorsetto che avrei voluto pronunciare (cosa che non feci)quando ho ricevuto il Premio Pippi di Casalecchio di Reno , 2006Se avessi potuto disegnare una medaglia per Pippi Calzelunghe, l’avrei fatta a forma di treccia. Una bella treccia con un fiocco piccolo e un po’ storto, tanto per non compiacersi della perfezione. La treccia, però, l’avrei voluta bella, ben riuscita, con la sua trama semplice, il suo andare e venire e tornare che somiglia a un sentiero ma ha le forme di un gioco che potrebbe non smettere mai. Un capo si unisce all’altro, uno dopo l’altro e sembra non cercare un nodo né una fine.
Le trecce sono una bellezza, una metafora che richiama le storie, le loro trame, l’intreccio. E, dunque, i libri. Quelli che scrivono le capriolanti scrittrici. Sì, le capriolanti, quelle che – incuranti del rischio – s’avventurano lungo le strade erte e seducenti della narrazione, portandosi appresso il loro mondo (come Pippi) e prendendo casa da sole (come Pippi) dentro i meandri della fantasia, nel gomitolo stretto delle parole e della lingua del racconto.
Le capriolanti scrittrici raccontano, vivono il mondo al raddoppio, gustando il tempo e i sentimenti nella vita quotidiana (che bella parola, vero? Vuol dire che ogni giorno ti svegli e vai srotolando passioni e scoperte) insieme al tempo largo e sorprendente del tempo della narrazione.
Vivono, le scrittrici capriolanti, il tempo dell’ Io sono e quello del c’era una volta. E quando entrano nel tempo circolare del c’era una volta vanno in cerca di amici (i lettori) e li fanno entrare nel tempo del “c’è ancora”. Come Pippi, che apre la porta ai suoi amici e gli fa da nocchiero e maestra di storie, dentro la sua casa. Lì, proprio lì, dove passato e presente hanno trovato dimora.
Scrivere per raccontare è un privilegio, una perla di mare, un bicchiere pieno di neve. E basta ad ampliare la vita, i sentimenti, le persone, a pennellare il mondo, a penetrarlo, a conoscerlo, a cambiarlo.Raccontare è un vizio da cui non si vuole guarire, un gelato che ti svela sapori. E il gusto del freddo sui denti. E la gioia del fresco sulla lingua. E la voglia di provare ancora quella delizia con le dita sporche di zucchero e panna.Raccontare è un invito a chi legge. Un richiamo, una terra promessa che richiama i lettori, li vuole imprigionare dentro la seta brillante di una tela di storie. Raccontare, dunque, può bastare a chi scrive. E’ un premio, come fosse corona brillante di parole e di voci.
Ma Pippi è piena di desideri e così al premio del narrare ha aggiunto un Premio, il Pippi biennale, che aspetta scrittrici capriolanti e ignare. Aspettava me, nell’anno 2006, che sembra lontano e invece è proprio ieri. Aspettava me, scrittrice felice e inconsapevole che al premio di scrivere si potesse aggiungere un altro premio che ti arriva da chi legge le tue storie.
E’ un premio speciale, perché si chiama Pippi e si mette a cercare le scrittrici, le femmine insolite come la Calzelunghe che s’appende agli alberi, porta in collo i cavalli e vive da sola in una casa piena di vitale disordine.
Va cercando, il Premio Pippi, le storie che possono travolgere il corpo dei lettori. Il corpo, proprio. Non solo la testa ma proprio tutto tutto quel che c’è da toccare, perché chi legge ci si mette intero – come le capriolanti scrittrici, del resto – dentro una storia. E se gli piace non ne vuole più fare a meno, se la porta dietro, gli si annida nelle orecchie, gli viaggia tra i capelli e gli sporca le mani.
E’ uno sporco amabile e appiccicoso come il miele quando ci metti le dita. E’ uno sporco che si fa leggere e invita chi ha vinto la Pippi del premio a fare altrettanto, a sporcarsi, a continuare la danza allegra e irregolare dello scrivere per raccontare, tenendo d’occhio Pippi, le sue trecce, le tracce del suo andare senza una mappa ma cercando (e trovando) una rotta.
Ho avuto, nel 2006, con LA SCELTA (Edizioni Sinnos), la medaglia di Pippi, la promessa di una treccia da continuare a disegnare, di un’esplorazione da non smettere di fare. L’invito, dunque, a scrivere per raccontare. Capriolando per amore, senza pudore, azzardando le voci, gli umori, le parole. Esagerando, come Pippi. Volendo bene a cani, cavalli, scimmie e bambini. Come Pippi. Facendo rumore quando ce n’è bisogno. E silenzio quando c’è un po’ di dolore. Praticando la bellezza del No, del disobbedire, cercando, se ancora si può, nuovi modi per raccontare. Come Pippi. Roma, 15 aprile 2011
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