Magazine Cinema
Opera che gira a vuoto per tutti i suoi ottantaquattro minuti di durata, e - badate - questo non è da leggere assolutamente come un problema. Nel suo non avere direzioni, nel suo "perdersi" insieme ai due protagonisti, "Lulu" è un oggetto filmico affascinante e seducente. Peccato solo che il gioco funzioni per la prima parte del film, finendo per diventare stucchevole man mano che avanza. Alcune sequenze mi facevano ripensare a "Les amants du Pont neuf" del mio amato Carax,per un certo modo di muoversi e di agire nello spazio, per una certa furia distruttrice propria della coppia di protagonisti. Ma qui quello che manca è la vitalità dirompente e devastante del vagabondaggio, la forza, l'irruenza, ma soprattutto la vita. Alcune sequenze sembrano troppo costruite per crederci realmente, e alla fine si finisce a osservare un film sbiadito che, paradossalmente, caccia all'infuori di sé la realtà stessa dei suoi personaggi. All'ennesimo balletto della protagonista capiamo direttamente che c'è una troupe che la sta filmando, e questo, in un film del genere, non va affatto bene. Un peccato, anche perché l'aspetto più interessante di Lulu è proprio come Ortega filma la città e i non-luoghi metropolitani: un regno di solitudine e spaesamento infinito, che può essere ricomposto e riformulato solo da chi ha sempre vissuto ai margini della società.
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