“Il linguaggio della Dea” ha rivoluzionato le prospettive sulle origini della nostra cultura. A sostegno delle proprie tesi l’Archeologa lituana esamina reperti , dal neolitico all'età del bronzo, in parte già noti e in parte da lei stessa dissepolti durante i suoi scavi nel bacino del Danubio e nel nord della Grecia, che comprendono un vastissimo repertorio di manufatti (oltre 2000, tutti riprodotti nel volume), mostrando i nessi dimenticati tra il mondo materiale e quello dei miti di una raffinata cultura matrifocale - il cui simbolismo costituisce le radici del patrimonio culturale dell'Europa Antica - e riportando alla luce la presenza centrale del femminile nella storia. Marija Gimbutas (1921-1994) Nacque in Lituania e studiò archeologia alle Università di Kaunus e Vilnius. Fuggita durante l'invasione russa, si laureò all'Università di Tubinga. Nel 1949 si trasferì negli USA, dove lavorò prima ad Harvard e dal 1963 all'Università di Los Angeles come docente di archeologia. Scrisse oltre 20 opere e 200 saggi su temi connessi alla mitologia dell'Europa Antica, alla religione della Grande Dea e alle origini delle culture indoeuropee. A presentare l’opera della Gimbutas sarà la giornalista scrittrice e magista Selene Ballerini considerata fra le maggiori studiose italiane di neo-paganesimo e sacralità femminile. E proprio sul tema tema della sacralità femminile l’introduzione all’incontro sarà affidatata alla performance di danza teatrale dal titolo “Alla Dea” della ballerina e coreografa Barbara Zanoni.
"Alla Dea"
una performance di Barbara Zanoni
La sacralità come zona senza tempo, pervade nella danza, il corpo, il gesto, il movimento.
Il dilagare dinamico apre percorsi emotivi e ritmici nella dimensione vibrante di uno spazio non quotidiano che si fa scenico. Il segno fisico tende ad una scrittura tracciata ed aperta verso ogni direzione dell’essere danzante purché integra nella sua verità di carne, per restituire al corpo la sacralità che gli è propria.
Il corpo stesso come unico media dell'anima nella vita, conserva tracce divine: apertamente denuncia la nostra impossibilità di assoluto, come la nostra urgenza di assoluto in un’umana preghiera alla bianca, rossa e nera Dea.