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Come si fa a non amare Paolo Sorrentino?
Incipit
Su un'isola, ad agosto, in vacanza. Io avevo diciott'anni, lei venti. Era notte. Al porticciolo. Sotto un faro. Io provai a baciarla, ma lei si girò dall'altra parte. Rimasi deluso. Ma lei tornò a guardarmi, e mi sfiorò le labbra. Io non mi muovevo: non avrei potuto muovermi. Poi lei fece un passo indietro e mi disse... Lei fece un passo indietro e disse...
Jep Gambardella, La grande bellezza
Non capitava da un po' di tempo, ma grazie a Sky, ad un dvd e ai nonni, sono tornato a respirare aria di cinema.
Al cinema, American Hustle, su Sky Django e infine in dvd La grande bellezza.
Ed è proprio su quest'ultimo film, che ho pensato a questa recensione.
Partiamo da un dato che condiziona chi, come me, ha visto o vedrà il film, dopo la candidatura agli Oscar 2013, come miglior film straniero.Ecco, dimentichiamo che questo film sia candidato all'Oscar. Non è cosa da poco ma giusto per evitare giudizi preconfezionati, tralasciamo.
Il film si svolge in una Roma Felliniana.Se avete amato Fellini, le sue atmosfere, i suoi personaggi, le tematiche, allora La grande bellezza non potrà far altro che alimentare i vostri ricordi cinematografici del Maestro riminese e vi piacerà. Senza dubbio alcuno.Se invece Fellini lo avete sempre bollato (sbagliando) come un malinconico visionario, allora lasciate perdere, La grande bellezza, non fa per voi.
Sorrentino mette Roma al centro della storia e intorno ad essa, costruisce la vita dei suoi personaggi e le situazioni che li vedono coinvolti.Roma mondana, puttana, svenduta, ma allo stesso tempo luogo dell'arte dall'alto impatto scenico-visivo (bellissime le scene all'interno dei Palazzi, bellissimi i tramonti e le inquadrature panoramiche dall'alto).Facciamo un passo indietro. E' chiaro che una delle intenzioni del regista sia quella di viaggiare nel mondo di Fellini: Dadina, la direttrice nana è un evidente rimando al circo (La strada), la decadenza fisica e morale dei personaggi (La dolce vita, Anita Ekberg trasfiguratasi in una oscena Serena Grandi) e la vacuità del personaggio principale interpretato magistralmente da Toni Servillo (parallelo rintracciabile con la crisi artistica di Mastroianni in 8e1/2). Un grande bestiario umano raccontato con magistrale pulizia visiva.Raccontare per immagini in Italia, lo sanno fare in due o tre al massimo e Sorrentino è uno di questi.Immagini geometricamente perfette, ammalianti, colorate: ogni scena un tableau vivant incorniciato in inquadrature rigorose e sullo sfondo Roma, bella e decadente più che mai.
La storia disorganica e frammentata è un pretesto e, come in altri film di Sorrentino, il tema del male di vivere (Antonio Pisapia/Tony Pagoda*, Titta di Girolamo**, Cheyenne***) viene sviscerato all'ennesima potenza da monologhi interiori o voci fuori campo, da battute sagaci e caustiche o fulminanti dialoghi che finiscono per diventare vere e proprie perle: "La più grande ambizione di Flaubert era scrivere un romanzo sul niente, se ti avesse conosciuta avrebbe avuto un grande spunto".
Cosa vuole raccontare in realtà Sorrentino? Roma e la sua decandenza? La vita di Jep Gambardella?Entrambe? Nè una nè l'altra?Mi piace pensare che uno (se non l'unico) tema sia il primo amore: forte come il ricordo di quella vecchia fiamma, forte come il dolore scaturito dalle lacrime di Jep quando apprende la notizia della morte di Elisa.Forse Jep è solo un elegante misantropo e attraverso le sue parole dovremmo cercare di vivere il nostro tempo perché come dice lui stesso: "non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare." (Cit.)
Alla fine del film cosa resta?La tristezza, la nostalgia, il senso di vuoto, la dannata incapacità di accettare il tempo che passa?Se devo scegliere direi, il vuoto: le chiacchiere sulla terrazza, le feste tragicomiche e trash, i personaggi distrutti dalla vita (Verdone, un loser per eccellenza), i corpi nudi gettati in scena e protesi alla ricerca di quella grande bellezza che come ci dirà Jep, lui non ha mai trovato.
Poi c'è l'Italia con quella nave inclinata e incastrata sugli scogli - facile metafora del nostro paese - e ancora una volta il rimando a Fellini e al suo E la nave va; lo sguardo di Jep è lontano, distante, disinterassato alle "cose italiche" bensì proteso verso il ricordo dei suoi vent'anni, del suo amore per la vita. Una vita che ha l'odore delle case dei vecchi, una vita che lo ha portato ad essere il re dei mondani, circondato da persone (fauna la chiama lui) che sono la sua vita: una vita da niente.
La grande bellezza potenzialmente (probabilmente) vincerà l'Oscar.Agli americani piacciono le storie di questo genere perché in fondo siamo un po' come loro, decadenti e terribilmente cinici.Forse noi un po' meno cinici di loro.Forse Jep nemmeno un po'.In fondo è tutto un trucco. Sì è tutto un trucco.
Antonio Pisapia/Tony Pagoda*, L'uomo in più
Titta di Girolamo**, Le conseguenze dell'amore
Cheyenne***, This must be the place
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