Lunedì Desueto n° 19 – Patena

Da Nerifondi @NeriFondi

Buongiorno e bentornati!

Diciannovesimo appuntamento con il Lunedì Desueto che ci vede impegnati nel confronto con una parola di cui, lo ammetto, ignoravo il significato e l’esistenza fino a quando la mia collaboratrice di “Una parola desueta al giorno” me l’ha suggerita.

La parola è “patena”, e passiamo subito alla definizione.

Patena
[pa-tè-na]
s.f.
ECCL. Piccolo piatto d’oro o d’argento, usato dal celebrante durante la Messa per coprire il calice e posarvi l’ostia.

Bene, e ora concentriamoci sul consueto breve racconto. Spero che vi piaccia e che vi faccia trascorrere qualche minuto piacevole.

Patena

Image by L.Kenzel

Non siamo mai stati una famiglia religiosa, o meglio, non siamo mai stati una famiglia cristiana. Mio padre non ha mai pregato quel Gesù di cui i miei compagni di giochi parlano tanto, e nemmeno mia madre. Quando i bombardamenti hanno colpito il nostro piccolo paese di montagna, ho visto tante persone che andavano in chiesa, ma i miei genitori non l’hanno nemmeno guardata di sfuggita.
Una volta invece, per curiosità, io mi sono intrufolato in chiesa mentre c’era tanta gente riunita che parlava all’unisono. Non capivo nulla di quello che stava succedendo, eppure mi piacque molto il luccichio di una specie di piatto dorato che il prete aveva messo sopra il bicchiere che teneva sul suo tavolino. Non capivo perché coprisse un bicchiere, ma quella luce dorata mi era proprio piaciuta.
Chiesi a un signore davanti a me cosa fosse quel piattino, e quello mi disse che era la patena, prima di chiedermi dove fossero i miei genitori. A quel punto scappai con le gambe in spalla e tornai a casa, ma quello che vidi mi sorprese molto.
Seduto al tavolo di legno, mio padre aveva davanti un bicchiere pieno di vino, e sopra questo aveva appoggiato un piatto. Non un piatto d’oro, ma un piatto normale, eppure quella scena mi sembrò così simile a quella che avevo visto in chiesa che mi lasciò con la bocca aperta.
«Che c’è, figliolo?», mi domandò allora mio padre.
«È strano», risposi. «In chiesa fanno una cosa simile.»
«E tu come lo sai?»
«Oggi sono andato a vedere.»
«Bene», rispose mio padre, senza alcun rimprovero. «E ti è piaciuto?»
«Non lo so. C’era un piatto che brillava, però.»
A quel punto il viso di mio padre si addolcì notevolmente e lui mi in invitò a sedermi sulle sue ginocchia. Non mi feci ripetere l’invito e mi accoccolai contro il suo corpo forte e rassicurante.
«Sei libero di fare ciò che vuoi», mi disse. «Ricorda, però, che per quanto sia bello da vedere, l’oro ha sempre portato male agli uomini. Li ha resi avidi, li ha resi malvagi.»
Io lo guardai senza comprendere, ma subito dopo lui prese un grande tozzo di pane e lo posò sopra il piatto che copriva il bicchiere.
«Il pane invece», continuò, «il pane non ha mai fatto male a nessuno. Il pane ti nutre, ti da la forza, e nella sua forma di spiga nasce e cresce dalla terra, che è buona con gli uomini e li ripaga per le loro fatiche. Noi veneriamo la Terra con il sudore della fronte, e credo che sia meglio che abbagliarsi per uno splendore dorato.»
Dopo quel discorso, guardai mio padre e vidi in lui qualcosa di nuovo che non avevo mai notato. Mi sembrò vecchio, brutto e stanco, e tutta quella sensazione di sicurezza che mi aveva dato in quei dodici anni della mia vita svanì. Scesi dalle sue ginocchia, guardai il pane, poi di nuovo lui e gli sorrisi, del sorriso più falso che abbia mai fatto in vita mia.
Da quel giorno non ho vissuto che per il luccichio dell’oro, dimenticando la terra, e ora con il cappio al collo in una terra straniera, piango per quel sorriso falso e per la mia follia.
Davanti a me, una spiga di grano.

Bene, anche per oggi il Lunedì Desueto è terminato. Spero che vi sia piaciuto e che non vi abbia annoiato.

Alla prossima!

Neri.

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