Lunedì Desueto n°31 – Ganimede

Creato il 20 maggio 2013 da Nerifondi @NeriFondi

Buongiorno e bentornati.

Oggi entriamo definitivamente negli “enta” con il trentunesimo appuntamento con il Lunedì Desueto, la rubrica in collaborazione con “Una parola desueta al giorno“.
Oggi la parola con cui ci confronteremo è Ganimede. In realtà è un nome proprio che poi è passato a indicare una particolare tipologia di persona, quindi per chiarezza vi riporto le prime righe di Wikipedia:

Ganimede (in greco Γανυμήδης, Ganymedes) è una figura della mitologia greca, figlio di Troo di Dardania (e dal cui nome deriverebbe Troy, la città di Troia). Omero lo descrive come il più bello di tutti i mortali del suo tempo; i suoi fratelli erano Ilo e Assarco.

Se volete saperne di più, cliccate sul nome per accedere alla pagina di Wikipedia, mentre noi ora passiamo alla definizione:

Ganimede
[ga-ni-mè-de] s.m.

Bellimbusto, damerino.

E ora andiamo al racconto.

Ganimede

Era la quintessenza dell’eleganza e della ricercatezza. Se di molte persone si poteva e si può tuttora dire che sono al passo coi tempi, beh, di lui non si sarebbe potuto dire nulla di simile. Lui non era al passo coi tempi, erano i tempi che si adeguavano al suo passo.
Si chiamava… In verità nessuno sapeva come si chiamasse veramente, perché tutti lo conoscevano come Ganimede. Quel nome gli era stato affibbiato in tenera età da un ortodosso barbuto che l’aveva guardato con disprezzo prima di chiamarlo così, accennando poi qualcosa a proposito di un’aquila che nessuno aveva capito.
E da quel giorno tutti chiamarono quel ragazzo bellissimo e ricercato con il nome di Ganimede.
E tutti, proprio tutti lo conoscevano. Non c’era caffè in cui il suo nome non venisse pronunciato, non c’era circolo in cui non si elogiassero i suoi modi e non c’era piazza dove non ci fosse almeno una persona che avesse un “Ganimede” sulle labbra.
Tutti lo conoscevano, ma nessuno sapeva nulla di lui. Vedevano il capello ben tirato, la biancheria pulita, la redingote, il gilet, i pantaloni, la tuba e il bastone. Vedevano tutto, dalle scarpe al riflesso del sole nei suoi occhi, ma nessuno era mai riuscito a guardargli dentro.
Non lo si poteva toccare, perché manteneva sempre una decorosa distanza, e i suoi discorsi erano frivoli e modaioli, esattamente come i suoi modi. Tutta la sua persona era intrisa di una frivola e magnifica eleganza, e ogni discorso fatto con lui non poteva neanche minimamente avvicinarsi ad argomenti personali, perché le sue abilità retoriche riuscivano senza problemi a sviare il tutto.
Eppure tutti lo amavano, pur non sapendo nulla di lui. Tutti invidiavano quei modi. Gli uomini lo rispettavano e le donne lo desideravano, fino a quando di punto in bianco non scomparve.
E la causa di quella scomparsa fui proprio io. Allora ero solo un bambino che aveva sentito parlare tanto di questo Ganimede, e proprio per questo un giorno volli andare a trovarlo a casa sua. Lui mi fece entrare e mi accolse con cordialità, fino a quando accadde qualcosa di incredibile.
Per sbaglio urtai un candelabro e questo cadde addosso a Ganimede, facendo sì che la sua camicia prendesse fuoco in men che non si dica. Lui si dimenò e io cercai di aiutarlo, ma tutto fu vano e solo quando si fu tolto l’indumento smise di gridare.
Fu allora che vidi il suo petto, e non scorderò mai quella visione. Non c’era nulla, né pelle, né carne, ma solo un grande vuoto nero come la pece che sembrava volermi risucchiare.
Ganimede mi guardò e impallidì, ma subito dopo sorrise.
«Un’emozione», disse. «Ora non ha più senso nascondermi e cercare. Ho trovato quello che desideravo, facendo esattamente l’opposto di quello che ho sempre fatto: mettendomi a nudo.»
Quindi mi invitò ad uscire, e quella fu l’ultima volta che qualcuno vide Ganimede.

E anche per questa settimana abbiamo terminato. Come sempre spero che il racconto vi sia piaciuto, e non vedo l’ora di leggere i vostri commenti!

Alla prossima!

Neri.



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