Magazine Cultura
Negli ultimi tempi, dopo la lettura del libro Pompei è viva di Eva Cantarella e Luciana Jacobelli, C. ha sviluppato un’insana passione per la storia romana che si è – tra le altre cose – concentrata sulla storia delle strade consolari romane.
Così, la nostra gitarella post-natalizia in Umbria si è trasformata in una specie di percorso sulle tracce degli antichi romani lungo il tratto umbro della via Flaminia.
La prima tappa – sulla strada di avvicinamento al nostro bed & breakfast – è stata la città di Narni, il cui centro storico abbiamo girato in lungo e in largo, soffermandoci particolarmente sulla chiesa di Santa Maria Impensole, una chiesetta buia e spoglia, con affreschi antichi alle pareti, un capitello di matrice barbara a interrompere la sequenza ordinata delle colonne e bellissimi grifoni in bassorilievo sulla facciata. Da qui, dopo una breve sosta a San Gemini, scorgiamo un cartello turistico che segnala le rovine romane di Carsulae e C. insiste per andarci. E fa benissimo.
Quella di Carsulae è una città romana di una certa importanza che sorgeva proprio sulla via Flaminia e di cui sono state scoperte le rovine in tempi relativamente recenti (gli scavi sono in parte ancora in corso). La cosa straordinaria di Carsulae è che la città sembra essere stata quasi completamente abbandonata dopo il periodo romano (l’unica testimonianza di insediamento successivo è una chiesetta cristiana realizzata sulle rovine di un tempietto) e soprattutto nei duemila anni successivi nessuno ha pensato di costruire un’altra città nello stesso luogo. Cosicché Carsulae è rimasta lì, quasi intatta, coperta solo da un sottile strato di terra e oggi si presenta a noi in tutta la sua antica coerenza, con il cardo (la stessa via Flaminia con il suo antico basolato) e il decumano, gli edifici pubblici, le case e le taverne, la basilica e l’area degli spettacoli con un anfiteatro e un teatro di considerevoli dimensioni, nonché il grande arco di ingresso alla città e i mausolei funerari subito fuori dalle mura della città. Il tutto circondato da colline e campagne. Andare a Carsulae significa fare un emozionante viaggio nel tempo, come sinceramente poche volte mi era capitato in passato.
Si sta facendo buio, così ci dirigiamo verso il nostro agriturismo, il Rustichino, che prende il nome dall’omonima località, i cui proprietari ci accolgono calorosamente e ci mostrano la nostra camera. Ci sarà tempo per raccontarci poi la storia di questo casale che ha origini molto antiche di cui si scorge ancora qua e là qualche traccia.
Per cena andiamo a mangiare a Montefalco (a pochi km dal Rustichino) e dopo una passeggiata in centro decidiamo di seguire il consiglio di A. e P. e di andare a mangiare a Il Postaccio, poco fuori delle mura della città. La trattoria è gestita da ragazzi giovani, ha un’atmosfera informale e rilassata. La cena è molto buona e la successiva chiacchierata con il cuoco è una miniera di suggerimenti per i nostri acquisti enogastronomici che rappresenteranno una parte importante della nostra vacanza.
Il giorno dopo, dopo una breve sosta a Gualdo Cattaneo – dove vorremmo visitare la cosiddetta Rocca sonora, che però è chiusa -, ci dirigiamo verso Bevagna, non senza prima esserci fermate alle cantine Tiburzi e aver fatto il pieno di bottiglie di vino.
Bevagna ci affascina, ci passiamo praticamente la mattina e parte del pomeriggio. Giriamo per il centro, visitiamo le chiese della piazza principale, ci fermiamo per una sosta in norcineria, poi facciamo la visita guida ai resti dell’anfiteatro romano dell’antica città di Mevagna e alla ricostruzione di una casa medievale simile a quelle che furono costruite sui resti dell’anfiteatro. Riusciamo anche a visitare i resti delle antiche terme con i pavimenti a mosaico raffiguranti animali marini veri e fantastici. La città è un gioiellino che meriterebbe certamente una seconda visita, magari durante una delle manifestazioni che ospita in primavera-estate.
Ed eccoci dirette verso Spello. Ci arriviamo che è già buio, ma facciamo in tempo a fare il giro del centro storico, ancora più affascinante nella penombra di certe strade. Visitiamo la chiesa di Santa Maria Maggiore con la strepitosa cappella Baglioni. Poi, quasi fortunosamente ci imbattiamo nel negozietto di Simona Felicioni, di cui avevamo assaggiato l’olio al Postaccio, quello che il cuoco chiamava il “diamante”. Effettivamente il costo giustifica il nome, ma è talmente buono (in particolare quello che si chiama Brio) che facciamo il pieno anche di bottiglie di olio.
Felici ci dirigiamo verso la nostra cena alla Cantina di Spello, un’osteria slow food che si rivelerà all’altezza delle aspettative: ambiente bellissimo e curatissimo, cibo eccellente (peccato che non abbiamo moltissima fame!).
Il giorno dopo il tempo è sempre più brutto, però non ci diamo per vinte e ci dirigiamo verso le fonti del Clitunno, cantate nella famosa poesia di Giosuè Carducci. Il laghetto originato dalle fonti del Clitunno già conosciuto in epoca romana e poi sistemato nel periodo ottocentesco come lo vediamo oggi emana effettivamente un suo fascino per il gioco di riflessi degli alberi e del cielo nell’acqua limpidissima. Da qui facciamo un salto a visitare anche il tempietto del Clitunno, poco distante, al di sotto del quale sorge anche un antico mulino, diventato poi residence e ristorante e ora apparentemente abbandonato.
La nostra tappa successiva è Spoleto. Da lontano vediamo la rocca albornoziana e individuiamo le lunghe scale mobili che ci porteranno fino in cima alla collina su cui sorge la città. Da lì inizierà la nostra visita per il centro storico che ci condurrà al duomo, ai resti romani (la casa romana e l’arco di Augusto) e all’anfiteatro romano. Nel duomo restiamo a bocca aperta in particolare di fronte agli affreschi di Filippo Lippi che rappresentano le storie della Vergine. Poi scendiamo lungo le scivolosissime scale che costeggiano le mura. Spoleto ci piace moltissimo, peccato per le troppe tracce del passaggio di “Don Matteo” ;-)
Per cena torniamo a Montefalco, ma questa volta siamo diretti in un’altra osteria slow food, L’alchimista, che avevamo notato la prima sera. La cena è altamente soddisfacente e merita di essere ricordata: antipasto di prosciutto crudo tagliato a mano con torta al testo (una specie di piadina un po’ alta), strangozzi al tartufo (veramente fatti a mano), lu padellacciu (un misto di carni stufate, maiale e manzo, nel sagrantino) e l’agnello al forno con contorno di fave e cicoria. Infine una crostata di marmellata semplicemente perfetta. Il tutto innaffiato prima da un bicchiere di Grechetto, poi da un ottimo Sagrantino. E visto che ho dato prova al padrone di casa di capirne di vino, mi offre con l’agnello un bicchiere di Sagrantino passito perché mi dice che tradizione vuole che con l’agnello si beva quello perché ci sta meglio. E non posso che confermare.
Non paghe torneremo al Postaccio per un dopocena a base di Sagrantino passito e buonissimi tozzetti.
Il giorno dopo sulla strada del ritorno facciamo tappa a Foligno, che però ci lascia alquanto indifferenti, e mentre comincia a piovere non poco, ci dirigiamo verso l’abbazia di Sassovivo dove possiamo ammirare il bellissimo chiostro in un’atmosfera un po’ inquietante e un po’ magica. Infine, prima di tornare a casa e visto che C. non ci è mai stata, facciamo una sosta alla cascata delle Marmore senza farci mancare né le foto dal Belvedere superiore, né il “quasi bagno” dal Belvedere inferiore.
Per un po’ (ma solo per poco) il nostro desiderio di romanità antica e di norcineria si può dire saziato! ;-))
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