Magazine Diario personale

Luoghi comuni

Da Icalamari @frperinelli

All’epoca in cui in Europa si facevano ancora le rivoluzioni, queste erano indubbiamente “calde”. La francese, figurarsi, capitò a luglio. I rivoluzionari successivi scelsero stagioni nelle quali il calore della folla inferocita fosse più gestibile: i moti del ’48 da noi partirono in gennaio in Sicilia, forse anche perché solo in gennaio l’isola ha un clima fresco. La Russia abbatté gli Zar a ottobre ’17, i praghesi scelsero la primavera nel ’68, così i francesi l’anno successivo, nel maggio degli studenti.

Nel 1969 in Italia venne finalmente coniata l’espressione “autunno caldo”. Le lotte sindacali, la classe operaia infuriata.

Ho un contratto da metalmeccanico e faccio l’impiegata. Qualcosa mi dice che è anche per idiosincrasie come questa che in autunno o in qualsiasi altra stagione o paese, la rivoluzione in occidente è un argomento chiuso. Per questo e perché, svuotate le spiagge, si riempiranno i centri commerciali. Che poi, anche in Russia vige il fashion victimism.

settimana della moda Mosca

In Russia, il 5 e 6 settembre, si svolgerà il G-20.

In Russia da un giorno è tornato ufficialmente l’autunno.

Io me lo ricordo l’autunno nel paese filorusso dove atterravo tutti gli anni a prendere sulla cervicale, ancora umida di Mar Mediterraneo, gli ultimi raggi obliqui di un sole che da noi resisteva testardamente estivo, ma anche una frescura mai prima provata, di quelle che invogliano a fare. Fare. Fare. E infatti, io facevo.

Giravo (giravamo) come nomadi inquieti in città esotiche, che di esotico mostravano una normalità aliena e alienante. Quei posti dove a noi sembrava tutto pericoloso, anche dopo aver imparato un po’ la lingua, per via che lì i locali parlano quasi a bocca chiusa, finché non li conosci sembrano sfingi che attraggono mettendoti paura.

Figurati se si avvicinavano due poliziotti a chiedere a brutto muso (tu non capivi, ma intuivi bene) perché eri seduta in una macchina ferma, e perché eri sola. E non potevi spiegarlo, il perché, visto che, appunto, eri da sola in quel momento, ti avevano lasciata a guardia del trabiccolo, anche se ci avevi provato a chiedere loro di non farlo.

Quando torna settembre mi ricordo di episodi come quello, che poi è finita dopo mezz’ora di attesa imbarazzata accanto ai due tutori della legge, con l’interprete che spiegava che l’auto era in panne, e la donna seduta dentro (io) era soltanto una turista, e tutte le spiegazioni sulle bambine, ecceteraecceteraeccetera. E poi ne ridevamo, dopo, quando l’auto veniva fortunosamente riparata, e ripartiva per altre avventure di ore su autostrade aliene senza guard-rail, in mezzo a boschi di betulla immensi, alla volta di altre cittadine aliene, perché dovevano essere sovietiche, e lo erano formalmente, e invece erano l’avamposto del capitalismo. Dove ragazzi col piercing, i jeans calati e con lo skateboard, filavano sulle piazze e lungo i viali che celebravano quel regime che costruiva centri commerciali e si inventava strategie di attrazione degli investimenti europei, intanto che tuonava contro gli occidentali ammonendo di non inquinare le menti della gioventù locale col nostro modo di vivere da debosciati.

Quanto possono essere comuni le località “esotiche”.

Me ne sono ricordata stamattina, anche leggendo Paolo Nori che racconta in un articolo (“Ho fatto così”) sul suo blog ciò che gli è accaduto a Reggio Emilia, mentre era tra quelli che aspettavano di sentire parlare Matteo Renzi (Nori scrive anche su Libero, cosa che sconvolge i puristi della sinistra, a me che purista non sono, un po’ meno).

Mi ci ha fatto pensare perché l’autore che starebbe per riferire di un lìder della sinistra che infiamma le folle con piglio un po’ destrorso, racconta tutto tranne quello, fa come facevo io, falsa turista che, un po’ perché costretta, un po’ per natura, stavo in mezzo alla gente.

All’estero per fotografare i monumenti.

E l’atmosfera, mi ci ha fatto pensare anche l’atmosfera di quel racconto, un po’ mesta, come si conviene alla stagione incerta.

L’autunno è caldo.

E quella citazione di Beckett (“La speranza non è che un ciarlatano…”) subito prima di rivelare di essere tornato a casa prima del tempo. La stessa cosa che facevo sempre io che, dopo ogni ritorno al caldo afoso del settembre italico, mi rinchiudevo in casa.

La speranza è l’ultima a morire.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :