Si parla di luoghi e cultura lgbt a Napoli sulle pagine culturali de Il Mattino. A farlo (partendo da “Dadapolis” di Fabrizia Ramondino e Andreas Friedrich Muller, ormai introvabile, publicato nel ‘92 da Einaudi) è Antonella Cilento che incontra Claudio Finelli, direttore artistico di rassegne come Poetè al Chiaja Hotel e PrideTime al Penguin Café (che invece cita “La morte della bellezza” di Giuseppe Patroni Griffi recentemente pubblicato da Dalai).
“Nella comunità gay napoletana e anche italiana c’è scarsa consapevolezza politica e poca unità d’intenti”
esordisce Finelli sottolineando l’urgenza di un dibattito sull’identità lgbt anche attraverso la letteratura di genere (altrove oggetto di studio ma che in Italia si vorrebbe assimilata alla letteratura in genere).
“Ho sempre l’impressione che dietro una certa apparente apertura si nasconda non un vero rispetto della differenza, ma l’urgenza di un’omologazione che neutralizzi ogni elemento eversivo del genere”
Una Napoli in cui convivono accoglienza e violenza (spesso prima verbale che fisica), una contradditorietà rappresentata da luoghi come piazza Bellini (ritrovo della comunità omosessuale come delle frange più estreme della tifoseria) e che si riflette anche a livello identitario
“Se da bambino continui a sentirti dire ‘ricchione’ - spiega Finelli - e avverti che nella parola c’è disprezzo e violenza, da adulto, nonostante la tua identità gay, avrai introiettato la violenza che il sistema ti ha indicato”
Una città in cui non ci sono più i luoghi di perdizione pederasta raccontati in “Dadapolis” ma le serate dei Criminal Candy e dei Freelovers, locali come il Macholato, il Depot, il Basement e la storica sauna BluAngels, luoghi come il parcheggio Brin e la Feltrinelli, rassegne di cultura queer come Poetè e PrideTime o testate online come Napoligaypress.it…