In un sobborgo canadese, due sorelle di 16 e 15 anni, Ginger (Katharine Isabelle) e Brigitte Fitzgerald (Emily Perkins), non proprio le classiche ragazze della porta accanto, sono totalmente insofferenti alla vita da adolescente e alla logica vacua e conformista dei propri coetanei. Nulla di nuovo, penserete voi. Non proprio, perché le due non si limitano a stare per conto loro, autoemarginandosi… Le due freak - Fitzenstein o Fitzen sisters, come le chiamano a scuola - coltivano orgogliosamente la propria diversità, a cominciare dall’abbigliamento volutamente dark (Ginger) e trasandato (Brigitte) fino ad arrivare all’inusuale e macabra abitudine di inscenare, fotografare e riprendere i loro finti suicidi... Anche con i genitori, brave persone ma totalmente assenti, non va molto meglio. Il padre (John Bourgeois) è come non ci fosse e la madre (Mimi Rogers) è convinta che per educare le proprie figlie al meglio debba lasciargli ampia libertà e non intromettersi nelle loro questioni private.
Mentre Ginger lotta per restare umana, Brigitte cerca disperatamente di trovare un antidoto per evitare la sua trasformazione. E lo trova: è l’estratto del fiore viola dell’Aconitum di lycoctonum, che ha tra le sue proprietà quelle di stimolare la crescita dei globuli bianchi (in italiano tradotto erroneamente come dente di leone: ma dente di leone, taràssaco o soffione è il nome comune del Taraxacum oficinale, una pianta dal fiore giallo piuttosto comune nei nostri prati, che mi risulta abbia principalmente proprietà diuretiche). In realtà il fiore a grappolo viola che Brigitte sgraffigna dal centrotavola della cucina sembrerebbe più quello dell’Aconito napello (Aconitum conitum napellus subsp. napellus), ma poco cambia… Entrambe le piante sono tossiche, in quanto buona parte delle sostanze che contengono sono nocive per l'uomo: quindi il fiore potrebbe curare Ginger, oppure ucciderla… ma Brigitte non ha altra scelta e decide di distillarne l'essenza con l'aiuto di Sam (Kris Lemche), un giovane spacciatore. Gli eventi precipitano quando il lato oscuro di Ginger prende il sopravvento: “Ho varcato il confine tra confusione e male” dice Ginger con il viso sporco di sangue fresco. “È una sensazione così bella, Brigitte. È come toccare se stessi, conoscere ogni tuo movimento, fino al punto scatenante. E dopo vedo i fuochi artificiali, le supernove… Io sono una forza della natura, sento che potrei fare tutto quello che voglio.” Quella sorta di simbiosi in cui le due sorelle si sono crogiolate fino a quel momento si è spezzata. “Non ti vedo quasi più come una sorella” dice Ginger, che nel tentativo di ristabilire il vecchio status quo tenta di trascinare Brigitte nel suo nuovo mondo: “Non farti pregare. Un graffietto, ci scambiamo un po’ di liquidi. Faremo di nuovo branco come prima. È la nostra essenza, B.”Una volta scoperto il gusto del sangue, Ginger non è più disposta a tornare indietro: “Credi che io voglia tornare indietro ed essere nessuno?!?”
È evidente che il tema della licantropia assurge qui a metafora dell’adolescenza, ovvero del passaggio all’età adulta che passa tramite radicali trasformazioni fisiche e mentali che non sono mai indolori. Certo (e per fortuna!) non per tutti gli adolescenti crescere è traumatico come per Ginger, ma quello che le accade nel film, per similitudine, serve a rammentare a chi quella fase l’ha passata da un pezzo quanto possa essere difficile. In questa logica anche il finale, per nulla consolatorio, trova una sua spiegazione che non sia soltanto garantire la possibilità girare un seguito della storia: per quanto lo desideriamo, e per quanto cerchiamo di opporci ad esso, non possiamo fermare lo scorrere del tempo. Sarà lo stesso quando dovremo assistere al declino del nostro corpo nel corso degli anni, e quando infine dovremo lasciare questa terra.
All’inizio di questo post ho citato il sequel del 2003 Licantropia Apocalypse (Ginger Snaps: Unleashed). In questo film la storia è tutta incentrata su Brigitte, mentre Ginger compare solo in qualche cameo (è la coscienza della sorella, o forse sarebbe meglio dire il diavoletto che le sussurra nell’orecchio…). Rimasta sola, a sua volta infetta, Brigitte si cura con iniezioni di aconito – è qui che scopriamo che questo preparato rallenta la trasformazione, ma non permette di evitarla - mentre un licantropo le dà la caccia per accoppiarsi con lei. Quando Brigitte per sfuggirgli si ferisce, perde conoscenza e viene scambiata per una tossica. Rinchiusa a forza in un rehab, la ragazza si ritrova privata dell'antidoto e braccata dal licantropo che nel frattempo caccia, nascosto nell’ombra del bosco che circonda la clinica. Fin qui il film ha una trama abbastanza convenzionale: ragazza sana (perlomeno in merito a quello di cui viene sospettata…) rinchiusa per errore, infermiere approfittatore/porco, psicologa piena di buone intenzioni ma del tutto ignara della reale portata della minaccia che incombe, ecc.: se vi sembra di aver già visto tutto ciò, è perché effettivamente lo avete visto altre mille volte… anche se Licantropia Apocalypse regala forse qualche sussulto più della media. Dalla clinica però Brigitte riuscirà a fuggire con l’aiuto di una strana bambina soprannominata Ghost, ed è qui che si cambia registro... Ghost è in effetti il personaggio più interessante del film, una versione infantile e a ben vedere più inquietante dell’Elijah Price di Unbreakable - Il predestinato... e ho già detto tutto. Il film è ben fatto e trasporta la metafora su tutto un altro piano, più immediato rispetto al primo film, quello della tossicodipendenza…Mentre scrivo queste righe non posseggo ancora una copia di “Licantropia” (Ginger Snaps Back: The Beginning) , la terza parte della trilogia girata sempre nel 2003. So che però si tratta di prequel e quindi non ho fretta di procurarmela. Nel frattempo, se non si fosse capito, per quanto mi riguarda è un bel pollice alzato per entrambi i film, direi che meritano senz’altro una visione. Considerateli per quello che sono, divertimento intelligente, e sicuramente li apprezzerete.