Medio Oriente in fiamme, alta tensione attorno alle ambasciate di Israele e Onu in fibrillazione dopo la morte di 10 membri della Freedom Flotilla, convoglio di Ong 1 in navigazione verso le acque territoriali di Gaza con un carico di aiuti umanitari, uccisi nella notte durante l'abbordaggio ad opera di commandos israeliani. Secondo l'emittente Al Jazeera, sei vittime sono di nazionalità turca, per Al Arabiya i turchi sono nove, mentre gli altri attivisti uccisi sono di origini arabe. Vi sarebbero anche 26 feriti, di cui uno grave, mentre l'esercito israeliano parla di quattro soldati feriti. La Farnesina conferma la presenza di italiani a bordo ma esclude che ve ne siano tra le vittime. In un primo tempo si era parlato di 19 vittime, ma il numero totale resta comunque incerto.
La nave. Teatro dell'accaduto una nave turca, la "Mavi Marmara", obiettivo del blitz portato dai commandos di Tel Aviv tra le 4,30 e le 5 del mattino a circa 75 miglia dalle coste israeliane. Che l'incidente sia avvenuto in acque internazionali è l'unico elemento in comune tra le versioni dell'accaduto fornite dai responsabili di Freedom Flotilla e le fonti della difesa di Tel Aviv, che ha imposto la censura ai media d'Israele. Cosa abbia indotto i militari israeliani ad aprire il fuoco contro i militanti delle Ong è tutto da chiarire. E non sarà facile, visto il reciproco scaricabarile in cui si sono prodotte in queste ore le parti in causa.
Nave in porto, attivisti arrestati. Dopo l'assalto, le navi della "Freedom Flotilla" sono state dirette verso i porti israeliani di Haifa e Ashdod, dove la "Mavi Marmaris" è arrivata nel pomeriggio con a bordo più di 500 attivisti. Secondo la tv satellitare Al-Arabiya, un'ottantina di pacifisti sono stati arrestati e tradotti in carcere dalle autorità israeliane, il resto potrebbe essere espulso.
La dinamica. In passato, le missioni pacifiste non erano mai riuscite a oltrepassare il blocco israeliano attorno alle acque territoriali di Gaza. Questa volta la situazione è precipitata finendo in un "massacro", come denuncia il presidente dell'autorità palestinese Abu Mazen, che ha indetto tre giorni di lutto nei territori. La difesa israeliana descrive "spari dalla nave" contro i commando che si apprestavano a salirvi a bordo, "passeggeri armati di coltelli" che tentano di strappare le armi ai soldati". "Di fronte alla necessità di difendere la propria vita, i soldati hanno impiegato dei mezzi anti-sommossa e hanno aperto il fuoco" è la prima, logica conclusione delle autorità militari israeliane. Più tardi, di fronte alle proteste, nelle piazze come nelle sedi diplomatiche, il generale Avi Benayahu, portavoce dell'esercito israeliano, ammette che l'operazione si è svolta in acque internazionali e ricorda che dal 1993, anno degli accordi di Oslo, Israele ha mantenuto il controllo delle acque territoriali a largo della striscia di Gaza per una distanza di 20 miglia. "Capire le dinamiche dell'incidente è fondamentale per attribuire le colpe" l'ultima parola del generale, che dice di ignorare da chi sia partito l'ordine di sparare. Nel frattempo, il ministero degli Esteri fa sapere di aver trovato armi a bordo della Flotta.
Il video. Per avvalorare la tesi di una "reazione" delle proprie forze armate a un attacco da parte dei militanti delle Ong a bordo della "Mavi Marmara", la difesa israeliana diffonde un VIDEO 2, accompagnato da un commento in sovrimpressione. In cui si descrive, in sequenza, il "primo soldato ferito e gettato sul ponte sottostante", l'"attacco per mezzo di una spranga di ferro", poi con "un grosso oggetto metallico", le "decine di passeggeri scatenati che picchiano un soldato israeliano e tentano di sequestrarlo". E ancora, il "lancio di una granata assordante" e di "una bottiglia molotov" contro i militari.
Armi a bordo, la smentita delle ong. "E' una bugia, non abbiamo aperto il fuoco" la secca replica di Greta Berlin, leader del Free Gaza Movement, una delle ong che ha organizzato la flottiglia della pace. Ma ben presto è chiaro che il vero braccio di ferro di Israele non è con i pacifisti ma con la Turchia, anche perché tra le vittime pare vi sia un deputato turco. Un confronto duro, che avviene mentre i leader dei due paesi sono lontani. Il premier israeliano Benjamin Netanyhahu viene richiamato in patria dal Canada, prima tappa di una visita in Nord America. Inizialmente decide di non annullare l'incontro previsto domani con il presidente Usa Barack Obama, poi la radio militare annuncia il suo ritorno in patria. Nessuna esitazione per il primo ministro Tayyip Erdogan, impegnato in un viaggio ufficiale in America Latina, che sulla via del ritorno definisce "terrorismo di Stato" il blitz israeliano contro la nave turca.
La Turchia. Ad Ankara, mentre il vicepremier Bulent Airnc tiene una riunione di emergenza con, tra gli altri, il ministro dell'Interno, il comandante della Marina e il capo delle operazioni dell'esercito, viene convocato l'ambasciatore israeliano Gaby Levy al ministero degli Esteri per denunciare un attacco "inaccettabile", dalle "conseguenze irreparabili" e per annunciargli una "perentoria reazione". In particolare, all'ambasciatore le autorità turche chiedono la consegna al più presto dei cittadini turchi rimasti feriti. Poi il governo di Ankara rompe le relazioni con Tel Aviv e richiama in patria il suo ambasciatore. Il tutto mentre almeno 5mile persone si ritrovano a Istanbul tra il consolato di Israele e la centralissima piazza Taksim in segno di protesta, con la polizia che fatica a contenere la rabbia popolare. A quel punto, Israele chiede ai propri cittadini presenti in Turchia di lasciare immediatamente il paese e di rientrare in patria per non esporsi a ritorsioni. Intanto Ankara chiede alla Nato una riunione straordinaria a livello di ambasciatori: il blitz israeliano è equivalente, per le autorità turche, all'aggressione a un membro dell'Alleanza Atlantica. La riunione si terrà domani a Bruxelles, presieduta dal vice segretario generale della Nato, Claudio Bisogniero.
La protesta. La protesta esplode anche nelle piazze palestinesi, in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. A Gaza City, chi attendeva al porto l'arrivo delle navi con gli aiuti passa dalla speranza alla rabbia, gruppi di manifestanti sempre più numerosi cominciano a radunarsi in centro, soprattutto dopo l'appello di Hamas all'intifada contro tutte le ambasciate di Israele nel mondo e dopo l'invito del capo del governo "di fatto" di Gaza, Ismail Hanyeh, a dar vita a una "giornata della collera" contro "i crimini sionisti". Quando si diffonde la voce che nell'assalto dei commandos israeliani è rimasto gravemente ferito lo sceicco Raed Sallah, leader del Movimento islamico nel Nord di Israele che vive a Um el-Fahem, la polizia eleva lo stato di allerta nelle zona del Wadi Ara (60 chilometri a nord di Tel Aviv). In Giordania, alcune centinaia di manifestanti chiedono l'immediata chiusura dell'ambasciata israeliana ad Amman. Tafferugli anche in Israele, all'Università di Haifa, la più multietnica fra le maggiori città, fra studenti arabi ed ebrei.
Il tutto mentre a Teheran il presidente Ahmadinejad lancia nuovi anatemi di fuoco contro la violenza dei sionisti e un centinaio di persone si ritrova davanti agli uffici dell'Onu gridando "morte a Israele". Le notizie allarmano il Palazzo di Vetro. Così, mentre il segretario generale dell'Onu Ban Ki-Moon condanna l'azione militare di Israele, il Consiglio di sicurezza annuncia una riunione straordinaria in giornata per affrontare la situazione.