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Lynne Ramsay retrospective

Creato il 20 giugno 2013 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Lynne Ramsay retrospective

Il silenzio è la prima forma di comunicazione. Dietro ciò che non si esprime con le parole, esiste tutto un mondo di importanti messaggi.

Basta ascoltare per vederli. Nella realtà cosi come nei film.

La forza dei lavori di Lynne Ramsay, regista indipendente originaria di Glasgow, sembra essere proprio lì, dietro tutto ciò che non è udibile ma che viene raccontato con altri linguaggi.

Con il suo stile visivo, sensuale e attento ai dettagli è riuscita, fin dall’inizio della sua carriera, ad affascinare pubblico e critica  quando, appena fresca di università,  esordisce a Cannes nel 1996 con un corto.

Dopo otto anni di assenza dalle scena, finalmente ritorna proprio su quel prestigioso palcoscenico che l’ha vista nascere, con “ We need to talk about Kevin”, film drammatico con Tilda Swinton.

Lynne Ramsay inizia la sua carriera studiando fotografia in un’università di Edimburgo, ma, dopo la folgorante scoperta di “ Meshes in the Afternoon” di Maya Deren ( 1943 ), decide di studiare cinematografia e regia presso la “National Film and Television School”, una delle scuole di cinema piu importanti in Inghilterra.

Small Death”, il lavoro con cui si laurea, è il famoso cortometraggio con cui Lynne non solo partecipa a Cannes vincendo il Jury Prize , ma riceve anche una commissione per un futuro lungometraggio.

Scritto dalla stessa Ramsay, lo short mette già in evidenza il suo stile innovativo e quelle che saranno poi le sue tematiche  ricorrenti, cioè racconti che riguardano  l’infanzia, i  giovani adulti ed in generale una delle esperienze più difficili della vita: crescere.

Small Death” è ambientato in Scozia e illustra tre episodi in tre momenti differenti della vita di una ragazza; da bambina, da adolescente e poi da giovane donna.

Pochi dialoghi e grande attenzione al montaggio del sonoro e dell’immagine insieme.
Questi tre episodi, dove apparentemente sembra non avvenire nulla di rilevante, sono proprio quei momenti silenziosi dove Ramsay riesce a dire tutto creando un immaginario visivo che contrappone insieme avversità e bellezza.

Sulla stessa scia estetica, la regista firma altri due corti: “Kill the day” ( 1996 ) e “Gasman” ( 1998 ), che le valgono numerosi altri premi in vari film festival, preparando il terreno per il suo futuro primo lungometraggio.

Il suo film di debutto è “Ratcatcher” (“L’acchiappatopi”) uscito nel 1999.  Esperienza molto impegnativa per una regista che ha sempre lavorato con poco budget e che mai prima d’ora si era ritrovata a maneggiare 90 minuti di tempo per un lavoro.

Ambientato negli anni ’70, durante il famoso sciopero della spazzatura in Scozia, questo film intenso e pieno di silenzi è il manifesto della sua incredibile bravura nel raccontare storie da un altro mondo, quello interiore, quello che più di ogni altra cosa e’ difficile da far venire fuori.

L’altro mondo è il mondo di James, un ragazzino di dodici anni che sogna di fuggire via dalle tristi case popolari dove vive con la sua famiglia.

Un ambiente troppo duro e difficile per un animo sensibile come il suo.

Il film apre il festival del cinema di Edimburgo e le vale un altro prestigioso premio come regista emergente.

Molto ricorrente nei lavori di Lynne Ramsay sono le scene di vita familiare e l’utilizzo della natura come scenario per riprodurre i desideri dei suoi protagonisti e i loro stati d’animo.

I vasti e accoglienti campi di grano dove avvengono molte scene di gioco, sono lì a rappresentare l’innocenza dei protagonisti e il loro desiderio di libertà e di una vita migliore.

Di differente atmosfera è invece “ Morvern Callar”, film adattato dall’omonimo romanzo di Alan Warner (1995) e uscito nel 2002.
Questa volta Ramsay passa dalla rappresentazione dell’infanzia e dell’adolescenza al ritratto di una giovane donna,  in un mondo adulto, che ha da tempo perso il sogno dell’innocenza.

Diversamente dagli altri, questo film è un lavoro più sinistro, complesso, ma  anche più confuso.

We need to talk about Kevin”, il suo ultimo lavoro accolto molto bene a Cannes, è invece un’avvincente storia drammatica e psicologica che esplora l’evoluzione del rapporto tra madre- figlio messo a dura prova da un tragico evento.

Anche qui i silenzi sono un importante canale di comunicazione. Un camera fissa e il linguaggio del corpo si sostituiscono ai dialoghi.

Con il suo background di fotografia e la sua grande capacità di sperimentare, Lynne ha creato un linguaggio molto particolare dove a guidare il tutto è l’istinto. Un lavoro viscerale dove il suono e le immagini offrono esperienze cinematografiche che mostrano più che raccontare.

 

Carla Cuomo

 


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