di Rina Brundu. Chi come me si era infine convinta della bontà dell’esperimento politico pentastellato era giunto a questa conclusione soprattutto dopo che aveva visto che Grillo imponeva ai suoi un tratto atipico negli altri politicanti italiani: la coerenza. Naturalmente lo faceva a modo suo, anche con maniere spicce, con modalità non del tutto politically correct e che pertanto facevano “scandalo” in una terra mafiosa (in senso stretto e in senso lato) come la nostra. Eppure, si era dovuto convenire, aveva ragione Grillo: da noi o la coerenza la si impone con una data determinazione o resterà sempre un’idealità radical-chic per spiriti (paradossalmente) non troppo elevati.
Non era sbagliato questo discorso, per nulla. Di fatto è stato proprio nel momento in cui tale coerenza – intesa sia con valore denotativo, vale a dire di fedeltà ad una data impostazione politica, a un dato programma, a un dato modus di essere e di sentire, ma anche con valore connotativo universalizzante e dunque quale conditio-sine-qua-non, tentativo ultimo per superare il machiavellismo insito nel nostro usato modo di intendere la politica – è venuta meno che il movimento dei grillini ha fatto il suo primo vero passo falso.
La storia della Giunta pentastellata in salsa camorrista è infatti una brutta, bruttissima, storia. Come brutto, inguardabile, renzistico quasi nella sua natura, è stato quel video preparato dai tre grillini più in vista, Fico, Di Maio e Di Battista, forse con l’intento di convincere i loro futuri elettori della bontà delle loro azioni, alla stregua di tre matricole universitarie che hanno appena scoperto i portenti del machiavellismo d’antan, appunto. Ma il loro comportamento, purtroppo, mancava di coerenza. Biasimevole è stato anche il comportamento dei vertici del Movimento che in questa particolare occasione si sono gestiti alla stregua di un Richelieu che si muoveva cautamente nell’ombra e proiettava ombre sinistre.
In realtà, se fin dall’inizio si fosse voluto fare onore alle alte idealità del Movimento, c’era un solo modo di gestire la faccenda: denunciare tutto subito, sciogliere la Giunta, presentarsi dai Carabinieri e mandare tutti a casa. In seconda battuta, la via obbligata era semplicemente ammettere lo sbaglio, chiedere scusa e fare di questa vicenda – in maniera plateale – un caso da ricordare, un monito da tenere sempre bene a mente per ricordarsi di quanto sia sempre mal lascricata la via delle buone intenzioni. Sull’indiscrezione uscita che vorrebbe gli stessi grillini intenti a spiarsi l’un l’altro meglio non commentare: le vie del machiavellismo, infatti, sono infinite più di quelle di Dio se il discorso fosse logicamente possibile.
Di sicuro c’é che chi ha sostanziale fiducia nella possibilità che dal grillismo nasca una nuova modalità di fare politica, in un paese affossato dal tanfo ammorbante del renzismo imperante e condotto alla sua rovina da tale status-quo, non sarà a causa del caso Quarto che cambierà opinione. Certo è però che la strada che sta davanti a Grillo e ai suoi è davvero ancora lunga e servono nuove regole specie per evitare la tentazione, una volta seduti nello scranno, di sentirsi intoccabili.