(Movieplayer)
Napoli, giorni nostri. Il milanese Guido (Claudio Bisio), professore liceale di Lettere, è un individuo romantico e sognatore. Lo si arguisce dalla passione con la quale rende edotti i suoi allievi relativamente a trama e contenuti del romanzo Madame Bovary (Gustave Flaubert, 1856), oltre che da uno scambio di battute con l’amico e collega Paolo (Frank Matano), insegnante di Educazione Fisica, nonché suo ex alunno, riguardo le modalità di relazione con “l’altra metà del cielo”.
Lo si evince, inoltre, dal puntuale acquisto floreale col quale intende omaggiare la compagna Anna (A. Ammirati), una volta rientrato a casa, sfrecciando in bici lungo i vicoli della città. Sarà invece l’amata a riservargli un’amara sorpresa: forse soffocata da troppe attenzioni (“le donne diventano infelici quando le rendi felici”, gli urla in faccia), è infatti sul punto di lasciarlo, rivelandogli di essere innamorata di un altro uomo, uno skipper belga, e di attendere un bambino da quest’ultimo.
Claudio Bisio (Movieplayer)
Per Guido è la personale “fine del mondo”, almeno di quello che si è costruito attorno l’idealizzazione di una coppia serena e tranquilla, rappresentazione che farebbe certo la felicità della dirimpettaia Giada (Valentina Lodovini), la quale segue le mosse del nostro origliando dalla parete, suddividendosi al riguardo col mantenimento alimentare del marito, inedito complemento d’arredo (metà uomo, metà divano, con tanto di televisore integrato). A tirare fuori Guido dalle secche della depressione, ecco giungere una visita inaspettata, Silvia (Chiara Baschetti), soave fanciulla appena stabilitasi nell’appartamento accanto, che chiede cortesemente una tazza di zucchero…
E’ amore a prima vista, anche se non tutti “vedranno di buon occhio” questa nuova relazione, a partire da Paolo, che, preoccupato, convocherà a Napoli i genitori di Guido, Carla (Ornella Vanoni) e Giovanni (Renato Pozzetto)…
Frank Matano e Claudio Bisio (Movieplayer)
Remake, dichiarato, della pellicola brasiliana A mulher invisível (Claudio Torres, 2009), Ma che bella sorpresa, sceneggiato (insieme a Giovanni Bognetti) e diretto da Alessandro Genovesi, evidenzia, ad avviso di chi scrive, in primo luogo le difficoltà, insieme registiche e di scrittura, considerandone le indubbie potenzialità, di smarcarsi, una volta per tutte, dal cliché della “bella confezione” buona per ogni palato, nel rispetto del consueto standard noto come “gradevolezza complessiva”, improntato ad ottenere come preminente aggettivo identificativo l’altrettanto abituale “carino” di prammatica. Costituisce poi, ancor più nello specifico, la palese svogliatezza espressa, all’interno del nostro genere cinematografico preminente, la commedia, nell’adattare con un minimo d’inventiva ed incisività narrativa autonoma quanto già delineato sul grande schermo da altri.
Memori in particolare del successo di operazioni analoghe, ma dalla migliore resa empatica (Benvenuti al Sud in primo luogo), produttori e compagnia hanno studiato a tavolino un proscenio che potesse apparire di sicuro impatto, la città di Napoli, cui è rivolto l’ “abbraccio” della macchina da presa a partire dalle sequenze iniziali, che si insinua così nei suoi luoghi più colorati e caratteristici, focalizzati quali idonei ad accogliere la surreale vicenda che si andrà a delineare.
Su tale fondale poi si provvederà a stagliare, in successione sufficientemente curata, tutta una serie di sketch non propriamente inediti e comunque volti a sfruttare, ancora una volta, escludendone quindi l’ingenuità funzionale, gli stereotipi più consoni alla bisogna.
Valentina Lodovini (Movieplayer)
Come ho già avuto modo di scrivere in altri articoli relativi a film da lui diretti, Genovesi è un regista che sa muoversi con una certa eleganza, in particolare riguardo la direzione degli attori, ma non sempre riesce a concretizzare una partecipazione a quanto narrato: evidente ell’opera in questione, già in fase di scrittura, il distacco da un’opportuna caratterizzazione psicologica dei vari personaggi, in particolare considerando le tematiche affrontate, a partire dalla confluenza fra realtà e fantasia, il mischiarsi dei due mondi fino a renderne i confini sempre più labili ed incerti, passando per l’attualità preminente delle difficoltà relazionali e finendo con l’idealizzazione virtuale di un partner ideale, ad uso e consumo delle proprie idiosincrasie o “sogni proibiti”, con tanto di stimolazione esterna idonea a qualsivoglia enfatizzazione.
Anche nell’ambito di una commedia i suddetti temi meritavano una definizione filmica più tangibile (senza andare oltreoceano o rispolverare il nostro passato, è sufficiente volgere lo sguardo a quanto stanno realizzando i cugini transalpini), a partire dalla rappresentazione del protagonista Guido, cui Bisio dal canto suo offre solo la percezione intuitiva del suo modo d’essere, un “uomo d’altri tempi” romanticamente vivente in una sorta di universo parallelo, non offrendo altro guizzo inventivo che vada oltre la riproposizione della consueta faccetta buffa da cartone animato con corredo di smorfie ed occhi a palla.
Chiara Baschetti e Bisio (Movieplayer)
Evidente, almeno è quanto ho avvertito, la meccanicità con la quale viene giocata quella che avrebbe dovuto essere la carta vincente della messa in scena, ovvero l’apparizione di Silvia (l’eterea, quindi del tutto in parte, Baschetti), proiezione onirica/immaginifica di un sottinteso e stereotipato ideale maschile cui non sfugge neanche il più “puro” fra gli uomini, risolta invece in un concatenarsi di siparietti meramente funzionali, alla pari di quelli offerti dall’inedita coppia Vanoni-Pozzetto, i quali non riescono ad elevarsi, purtroppo, oltre la dimensione di figurine sul variopinto fondale, per quanto al secondo sia affidata la battuta chiave* del film, gettata fra le altre con opinabile nonchalance. Del tutto stridenti, impiegati giusto per introdurre cinismo e politicamente scorretto entrambi di prammatica, tanto per gradire e mitigare in corso d’opera il tiro di un’impostazione sostanzialmente cartoonesca/ favolistica, gli intermezzi affidati a Matano, nella solita parte dello “stralunato senza un motivo”, mentre funziona piuttosto bene, sempre a mio avviso, ed è un vero e proprio peccato che ad un certo punto della narrazione scompaia per poi ricomparire prepotentemente verso il finale, la Giada interpretata dalla brava Lodovini, sensuale e genuina, idonea a portare sullo schermo una prorompente femminilità nella vita di Guido, del quale rappresenta il contraltare femminile, scontrandosi con l’etereo simbolismo di Silvia.
Ornella Vanoni e Renato Pozzetto (Movieplayer)
Certo, la pellicola si lascia vedere, come si suole dire, qua e là scatta il sorriso, in particolare per le stravaganti situazioni in cui vengono a trovarsi i personaggi, ma la sensazione primaria è, ancora una volta, di avere l’amaro in bocca per quello che il film avrebbe potuto essere e invece non è, lasciando sospesa una sottintesa profondità idonea invece ad apportare maggiore identità e spessore, anche nell’ottica di un valido prodotto d’intrattenimento. Lo si può evincere leggendo La donna perfetta (Mondadori), il bel romanzo che Amabile Giusti ha ricavato dalla sceneggiatura del film. L’autrice riesce infatti a centrare il bersaglio mancato da Genovesi, ovvero raccontare, rendendo evidente il piacere di farlo, una storia dei nostri giorni calata nell’attualità con scorrevolezza ed incisività, punteggiata sapidamente da toni immaginifici ed ironici, attenta a più di una problematica sociale e alla psicologia di ogni singolo personaggio (come i genitori di Guido, in particolare il padre, “responsabile” in certo qual modo, per ereditarietà, delle modalità di vita del figlio). Nella piacevolezza della lettura, si rende evidente una felice combinazione, rara avis, fra realtà e sogno, al cui interno si insinua un romanticismo “pratico”, temprato dalla quotidianità dell’esistenza, proprio di coloro che, uomini e donne, si sentano, riprendendo le parole della scrittrice, “un ritratto rinascimentale in una galleria d’arte moderna”.
*Ci sono persone che hanno con altre persone delle relazioni inesistenti. Qualcun altro ha una relazione ideale con una persona che non esiste.