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Ma che Diavolo sono le Digital Humanities?

Da Arturo Robertazzi - @artnite @ArtNite
Ma che Diavolo sono le Digital Humanities?

[divider top="0"]Qualche mese fa, scrivendo un post sulla proliferazione di artisti e scrittori, mi sono inventato, in un impeto asimoviano, la Logoinformatica, una fantomatica scienza che analizzerebbe l'immensa quantità di letteratura e arte prodotta dal genere umano e che fornirebbe i mezzi per giudicare il lavoro di un artista o di uno scrittore. Ho scoperto, poi, un po' sorpreso e un po' no, che una disciplina simile esiste già. E si chiama Digital Humanities.

Cosa sono le Digital Humanities?

Le domande più semplici come al solito sono quelle per cui è più difficile trovare risposta. Per fortuna c'è Wikipedia che fornisce sempre un'opinione:

[tabs style="1"][tab title="English"]The Digital Humanities is an area of research, teaching, and creation concerned with the intersection of computing and the disciplines of the humanities. [...] Digital Humanities currently incorporates both digitized and born-digital materials and combines the methodologies from the traditional humanities disciplines with tools provided by computing and digital publishing. ( from Wikipedia)

[/tab]

[tab title="Italiano"] L'Informatica umanistica, in inglese Humanities Computing o Digital Humanities, è un campo di studi, ricerca, insegnamento che nasce dall'unione di discipline umanistiche e informatiche. Comprende ricerca, analisi e divulgazione della conoscenza attraverso i media informatici. Oltre ad avere una solida formazione umanistica, chi studia Informatica Umanistica sa trattare contenuti culturali con gli strumenti informatici appropriati ( da Wikipedia). [/tab] [/tabs]

In due parole: fare il lavoro degli umanisti con strumenti computazionali. Non è incredibile? Un'analisi statistica dei pronomi y- and th- nell'opera di Shakespeare; uno studio matematico dell'evoluzione della letteratura; una rappresentazione formale di un romanzo o di una sceneggiatura?

Le Digital Humanities non sono fantascienza

Immagino cosa pensi: questa è fantascienza, è impossibile utilizzare computer per studiare le arti e, comunque, Wikipedia è piena di errori. Sì, sono a conoscenza dei famosi Wikipedia Blunders o del terribile imbarazzo del fondatore di Wikipedia di fronte ad alcune pagine, diciamo così, creative. Per questa ragione ho cercato un documento più attendibile e, nella ricerca, ho trovato qualcosa che forse fa al caso nostro: un articolo dal titolo What Is Digital humanities and What's It Doing in English Departments?, del Prof. Matthew G. Kirschenbaum, dell'Università del Maryland.

Buone notizie: le Digital Humanities non sono fantascienza. Nell'articolo, infatti, Matthew G. Kirschenbaum afferma chiaramente che la definizione di Wikipedia (quella in inglese) non è poi così male. L'autore, però, mette in evidenza un problema, anzi due: le Digital Humanities eludono una precisa definizione ed è, inoltre, difficile pensarle come una vera e propria disciplina.

Un ampio spettro di studi, così ampio che i confini diventano indefiniti. Cos'è Digital Humanities e cosa non lo è non è sempre scontato.

Una disciplina emergente con una definizione effimera

In effetti, anche il Digital Humanities Manifesto 2.0 parla di disciplina emergente:

Digital humanities is a diverse and still emerging field that encompasses the practice of humanities research in and through information technology, and the exploration of how the humanities may evolve through their engagement with technology, media, and computational methods.

Emergente sì, ma a una velocità sostenuta, secondo Edward Vanhoutte, editor in chief del Literary and Linguistic Computing. Nell'ultimo anno, infatti, le Digital Humanities hanno subito uno sviluppo significativo, attraverso quelle che l'autore chiama quattro evoluzioni: più fondi concessi per la ricerca, nuove aree di studio, un maggior numero di corsi universitari per laureati (master e dottorati, per esempio) e un aumento della produzione di articoli, monografie e saggi.

L'infografica, Quantifying Digital Humanities, preparata da Melissa Terras della University College London, conferma il quadro positivo descritto da Edward Vanhoutte.

L'importanza di una definizione

La sensazione è quindi che le Digital Humanities attraversino un momento di rapido cambiamento, in un fervento di nuove idee e nuove metodologie. Se questo è vero, allora la definizione della disciplina diventa cruciale ed è cruciale che la definizione sia aggiornata continuamente. Forse è proprio per questa ragione che ai partecipanti al Day of Digital Humanities viene chiesto ogni anno di proporre una personale definizione. Qui alcune delle risposte più interessanti:

I think of digital humanities as an umbrella term that covers a wide variety of digital work in the humanities [...]
Kathie Gossett, Old Dominion Univ, USA

A term of tactical convenience [...]
Matthew Kirschenbaum, University of Maryland, USA

A name that marks a moment of transition; the current name for humanities inquiry driven by or dependent on computers or digitally born objects of study; a temporary epithet for what will eventually be called merely Humanities.
Mark/Marino, University of Southern California, USA

Ma è una Rivoluzione!?

Vediamo se capisco bene. Le Digital Humanities sono un ramo avanzato delle discipline umanistiche che usa strumenti computazionali per lo studio di vecchie e nuove tematiche e al contempo si pone come scopo quello di rinnovare la pratica di ricerca nelle discipline umanistiche. Alla fine di questa evoluzione, la parola digitale probabilmente diventerà obsoleta.

Ho quindi cercato in google Rivoluzione e Digital Humanities e ho trovato un articolo di Jim Leach dal titolo The Revolutionary Implications of the Digital Humanities, in cui l'autore conferma il nostro sospetto.

A revolution has commenced where science and technology are melding with the humanities [...] Indeed, it has been gratifying to watch the new wave of humanists who have breached the barriers between science, technology and the humanities [...]

E se bucare le barriere tra tecnologia, scienza e discipline umanistiche non fosse sufficiente, Jim Leach conclude l'articolo così:

It could be that the development of a New Digital Class and the knowledge base made globally available through the digital humanities will provide impetus to civilizing human relations. Knowledge, after all, inoculates against intolerance and serves as a powerful antidote to despotism.

La prossima domanda: Perché le Digital Humanities?

Beh, per oggi è sufficiente: il post è già un po' troppo lungo, no? Spero di essere riuscito a chiarire alcune idee sulle Digital Humanities e a fornire un punto di partenza per una ricerca più approfondita. Ovviamente, sono molti altri gli aspetti che meriterebbero di essere discussi. Uno, per esempio, è perché, cioè, perché abbiamo bisogno delle Digital Humanities?

Proverò a rispondere a questa domanda nelle prossime settimane.

Cosa pensi delle Digital Humanities? Davvero la matematica, la statistica, e i computer possono essere strumenti efficaci negli studi umanistici? Se ti va, condividi il tuo punto di vista nei commenti.

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Ma che Diavolo sono le Digital Humanities?

L'immagine del post è una rappresentazione artistica di un frammento di DNA, GCAAT. A proposito, lo sapevi che recentemente un team di scienziati è riuscito a immagazzinare l'intero contenuto di un libro utilizzando il DNA? L'articolo che spiega la scoperta si intitola: Book written in DNA code .

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