Magazine Cultura
Da anni coltivo una sana diffidenza per chiunque prometta un localino tipico, espressione che mi puzza come il pesce del giorno dopo. Purtroppo ho già fatto una discreta collezione di posti che di tipico avevano solo il consiglio interessato di qualche guida, magari con compartecipazione agli utili.
Col tempo ho sviluppato anche un discreto fiuto per le strategie acchiappaturisti e per le infinite
malizie in vetrina e sui menù. Tanto più che vivo in una città dove ogni poco ci si imbatte nelle insegne di antiche trattorie che non esistevano fino a due giorni prima.
Ci casco, ci casco ancora. Ma un po' meno, se è vero che basta che senta dire: localino tipico, perchè la spia rossa si accenda.
Però Chrstan l'ho già visto all'opera l'altra sera e mi fido. Gli occhi gli si sono illuminati all'idea di un bicchiere in compagnia. E io condivido. C'è qualcosa di storto in un giorno di bicicletta che non si conclude con una buona birra.
La mia personale versione del B&B: non Bed and Breakfast, ma Bike and Beer. Perciò saltiamo a terra e via tutti insieme, in coda al gruppo anche Ernesto, che con la camicia chiusa ai polsi e il golfino annodato alla vita pare uscito dal college. Ma come è il locale davvero olandese?
Chrstan mi dà la sua risposta: «Deve avere il camino da accendere quando è freddo».
Che mi piace come risposta, è giusto quanto mi aspetto da locali come i bruin cafè, a occhio i più tipici tra i tipici localini olandesi. Il nome rinvia al colore – bruno o marrone – ed è esattamente questo che intende richiamare: i pavimenti di legno, l'illuminazione soffusa, le pareti rese più scure dal tempo e dal fumo del tabacco.
E qui si può aprire la discussione: che cosa distingue un bruin cafè da uno di quei vecchi pub inglesi o irlandesi, preferibilmente di campagna, con le insegne di ferro battuto fuori e i divanetti e le stampe dentro?
(da Paolo Ciampi, L'Olanda è un fiore, Ediciclo)
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