La scrittura non è un atto, non è una passione, è un muscolo.
I muscoli sono organismi strani, se li alleni troppo in un solo modo, se gli fai compiere sempre lo stesso gesto, quelli diminuiscono sempre più i loro miglioramenti. Per questo chi va in palestra con un minimo di serietà tende a variare e ruotare gli esercizi, un muscolo abituato è un muscolo che ha smesso di migliorare.
Con la scrittura funziona più o meno allo stesso modo, ma questo lo capisci solo dopo, quando, articolo dopo articolo, ti rendi conto che se non metti qualcosa di tuo anche nelle news di quattro righe finirai come quelli che vanno avanti col “mestiere”.
Perché non so se ci avete mai fatto caso, ma ogni argomento ha il suo template. La maggior parte dei pezzi che leggete su internet, nei blog, sui quotidiani, sono composti in minima parte di informazioni fondamentali, il resto è mestiere.
Un mestiere che dopo anni ti ha insegnato ad aprire un pezzo, e a chiuderlo, utilizzando sempre le stesse quattro parole.
Ci avete fatto caso? Se si parla di qualcosa successo il venerdì o il sabato sera c’è sempre di mezzo la “movida”. Parola spagnola, quindi vagamente esotica e “straniera”, perfetta per dare al lettore medio perbenista quell’idea di proibito e di estraneo, che lo porta a domandarsi cosa fanno i giovani durante questa famigerata movida, quando al massimo bevono, fumano e parlano sui gradini di una piazza.
E vogliamo parlare de “il popolo della rete”, “il web” e gli altri modi di dire fatti con lo stampino dietro i quali si nasconde uno stagista pagato per leggere i disperati che su twitter fanno i brillanti nella speranza di venire citati sul quotidiano, o che deve trovare l’ennesimo video, che su Youtube faceva ridere due mesi prima, da mettere nella colonna di destra?
I crimini sono tutti “efferati”, i gesti “estremi”, le conseguenze “inevitabili”.
Basta per dio, basta.
Tralascio tutto ciò che succede nel mio modesto settore di competenza, dove purtroppo siamo schiavi di parole come “comparto grafico”, “giocabilità” e altre mine vaganti contro cui, vi giuro, è una lotta continua per cercare di tirar fuori qualcosa che sia diverso dalle centinaia di parole tutte uguali che vengono vomitate ogni giorno sui nostri schermi.
E spesso non ci si riesce, perché anche se le parole sono più delle note, a volte sembra di poterci fare molte meno cose.
L’unica soluzione è fare come in palestra, allenare questo muscolo con esercizi diversi, e stando troppo lontano da questo blog mi sono reso conto personalmente quanto sia difficile sfuggire al dolce abbraccio della prosa giornalistica fatta con lo stampino.
Dio cristo sto scrivendo così tanto in “giornalese” che l’altro giorno quando m’hanno chiesto come va ho risposto “affrontiamo la giornata con cauto ottimismo, in attesa di sviluppi futuri”.
Potrei anche ripromettervi e ripromettermi che stavolta sarà diverso, che da domani lo aggiornerò come un pazzo, ma sono troppo sobrio per ingannare me stesso.
Oltre tutto, tra qualche giorno si parte per l’E3, per Los Angeles, dove abiterò in un ostello arredato con mobili ikea mentre si ascolta musical industrial di un gruppo della Westfalia.
Dunque anche voi, come farete a crederci?
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