Andiamo con ordine. Cominciamo dal referendum costituzionale voluto dalla coalizione di governo filo-europeista per cercare di sbloccare lo stallo politico in cui il paese si trova da più d'un anno: la consultazione non ha raggiunto il quorum ed è stata quindi annullata. Il referendum intendeva introdurre l'elezione diretta del presidente della repubblica superando lo stallo che sì è determinato dopo le elezioni anticipate del 2009 che videro il Partito comunista confermarsi come forza di maggioranza relativa, ma in minoranza rispetto alla coalizione filo-europeista. Questa situazione ha impedito per due volte consecutive che in Parlamento si trovasse la maggioranza necessaria per l'elezione del capo dello stato (l'Alleanza dispone infatti di soli 53 voti su 101). Oltre l'87 % dei votanti al referendumsi è espresso a favore degli emendamenti alla Costituzione, ma ai seggi si è recato solo poco più del 29% degli aventi diritto, pochissimo meno quindi del 30% più uno richiesto dalla legge che stabilisce, inoltre, che il referendum invalidato non potrà essere ripresentato prima di due anni. Per l'Alleanza per l'integrazione europea, l'articolata coalizione di formazioni politiche grandi e piccole che sostiene il governo del premier Vlad Filat, è una dura sconfitta perché il Partito comunista aveva chiamato al boicottaggio considerando la consultazione una truffa.
Mihai Ghimpu, il presidente del Parlamento facente funzione di capo dello stato provvisorio, ci va giù duro: "I comunisti hanno esercitato pressioni sugli elettori, hanno ricattato gli elettori e hanno continuato a fare pressioni anche nel giorno del referendum. Abbiamo una quantità di notizie su violazioni commesse dai comunisti. Il loro boicottaggio del referendum s'è sviluppato in pressioni attraverso i mass media e in tecnologie sporche". Sul fronte opposto non nasconde la sua soddisfazione Vladimir Voronin, ex presidente e leader del Partito comunista, secondo il quale il mancato raggiungimento del quorum è di fatto un voto di sfiducia alla coalizione che guida il paese: "Senza dubbio, il 5 settembre 2010 resterà nella storia del nostro paese come il giorno della massima dignità civica, come il giorno del vero coraggio politico dell'intero popolo moldavo. Avete trovato la forza per una difesa organizzata e di massa dell'indipendenza del paese, della nostra costituzione, della supremazia della legge e della democrazia", ha detto in un discorso Voronin, secondo il quale a questo punto non c'è altro sbocco che elezioni parlamentari anticipate.
Quella delle elezioni anticipate è un'opzione sulla quale sembra orientato anche il premier Filat secondo cui le cose devono andare "secondo legge" e quindi che il Parlamento "deve essere sciolto". La Costituzione in effetti impone lo scioglimento del Parlamento dopo due tentativi falliti di eleggere il capo dello stato, ma non indica i tempi. "Noi dovremo discutere quando potrà accadere. Io insisterò per elezioni al più presto", ha detto Filat, aggiungendo che bisogna discutere anche della coalizione, nella quale la sconfitta referendaria sembra aver aperto delle crepe: "L'Alleanza per l'integrazione europea è mancata di coordinamento. Tutti si stavano accanendo sul banchetto perché credevano che il referendum, fosse destinato al successo", ha sostenuto il primo ministro. E a creare un clima di serena riflessione sulla sconfitta non hanno certo contribuito le dichiarazioni del presidente del Parlamento. D'altra parte bisogna pure dire che anche in caso di vittoria, il referendum di fatto avrebbe aperto la strada a elezioni anticipate parlamentari e presidenizali che si sarebbero tenute probabilmente il 14 novembre.
Tutto questo è certamente interessante per chi segue in particolare le vicende dell'Europa centro-sud orientale, altri sono i teatri che in questo momento sono al centro dell'attenzione del grande pubblico e delle grandi manovra della politica internazionale. Eppure, quello che accade in questa piccolo stato (ri)nato dal crollo dell'Unione Sovietiva meriterebbe un po' più di attenzione e il referendum di domenica scorsa potrebbe essere l'occasione per riflettere su quanto sta accadendo ai confini orientali dell'Europa.
La Moldavia è uno dei paesi più poveri paesi dell'Europa, incuneato tra Romania e Ucraina, ma nonostante la sua irrilevanza politica ed economica è uno dei terreni di confronto tra le grandi potenze e uno degli scenari su cui si misurerà anche il futuro dell'Unione Europea. Il paese resta diviso tra la profonda influenza culturale, storica, politica ed economica della Romania e quella della Russia che punta ad affermare una propria di influenza che comprendeBielorussia, Georgia, Ucraina e le repubbliche ex sovietiche dell'Asia centrale. In questo disegno rientra anche la Moldavia. Non è un caso che Mosca, attraverso le parole di un alto funzionario del governo, abbia sottolineato come un cambiamento dell'assetto attuale del paese potrebbe dare alla Transdnistria un pieno diritto all'autodeterminazione. Quello della Transdnistria, una striscia di terra ad est del fiume Nistro (Dnestr) è un problema che si trascina del crollo dell'Urss. Poco dopo l'indipendenza della Moldavia, questo territorio dichiarò a sua volta l'indipendenza. Da allora non è stato risconosciuto da nessuno, nemmeno dalla Russia, che però vi esercita un'influenza pesante usandola di fatto come testa di ponte della sua pressione verso la Romania e l'Ue. La Transdnistria, nel frattempo, è diventata il porto franco per traffici illegali di ogni tipo.
Il gioco, come si vede, potrebbe farsi difficile ed è per questo che i ministri degli Esteri di Romania e Polonia, dopo il fallimento del referendum hanno fatto subito appello alla Moldavia a proseguire le riforme. "E' essenziale che l'Alleanza per l'integrazione europea prosegua le riforme con il sostegno finanziario e politico della Romania e dell'Unione europea", ha dichiarato il ministro romeno nel corso di una conferenza stampa congiunta col suo omologo polacco aggiungendo che "le forze pro-europee e riformiste devono essere capaci di beneficiare d'un fondo per un ammontare di due miliardi di euro e che sono finanziati dall'Ue, dal Fondo monetario internazionale e sulla base di accordi bilaterali". Anche perché a gennaio di quest'anno la Cina ha concesso alla Moldavia un finanziamento da un miliardo di dollari nell'ambito di una strategia chiara per estendere la propria influenza nei Paesi europei deboli, con problemi economici, ancora lontani dall'Ue e dalla Nato. E i banchieri cinesi sono più veloci e fanno mendo domande di quelli del Fmi e della Bce (vedi Grecia). La Cina, negli ultimi anni, forte del suo potere economico, ha esteso la sua influenza in Asia e in Africa. Ora sta saggiando le sue possibilità di penetrazione in Europa: in un Paese dell'Ue come la Grecia, in un Paese chiave, la Serbia, di una regione chiave, i Balcani, e in un paese debole ma in posizione interessante come la Moldavia. A Mosca se ne sono accorti. E a Bruxelles?