Stamattina, sulla spiaggia afosa e affolata, due donne, delle mia età credo, parlavano, anzi, si lamentavano, dei rispettivi mariti.
“Non mi regala mai nulla, non ricorda mai un anniversario, non mi porta mai a cena fuori, ecc…”
Ho pensato a me, al mio matrimonio, a mio marito, così lontano anche da questo stereotipo di marito smemorato e distratto.
In questi dieci anni di matrimonio non ricordo regali o festeggiamenti per ricorrrenze varie, o inviti a cena. Queste cose non sono mai state motivo di lamento, almeno per me. Mi piacciono, certo, ma non è questo che mi manca. Non è il regalo, o la cena a due, motivo di malessere.
Mi mancano in maniera imbarazzante le parole, mi mancano gli abbracci, quelli che ti fanno sentire, ma anche vedere, che non sei sola, quelli che accolgono le tue fragilità, mi macano le liti per un progetto, mi manca un: “ciao, come stai?”
Quante donne ho visto nascere e morire in me!!. Ho visto morire la sognatrice, la romantica, l’illusa, e nascere, forse per proteggermi e congelare le mie emozioni, una donna aggressiva e “invidiosa” della felicità altrui. Ma sempre, quella me sognatrice, ritornava, a ricordarmi chi ero, per farmi stare ancora male, o forse per costringermi a smascherami e volermi bene.
C’è una coazione a ripetere per molte donne: si sceglie di amare l’uomo che somiglia al modello da noi detestato, per una sorta di autopunizione, perché ci sentiamo in colpa per aver nutrito risentimenti per il proprio genitore. Si sceglie, inconsciamente, di autopunirsi, di espiare quel rancore innaturale.
Mi sento una “mendicante” di affetti: cerco affetto e conferme da una vita!
Credo di averlo pagato caro il mio debito affettivo, è arrivato il momento di battere cassa e di fare i conti con quello che resta.