Ma i comunisti ci credono ancora?

Creato il 04 giugno 2013 da Uccronline

“Come diceva mia madre Dio c’è ed è comunista. E io aggiungo che è anche femmina”; “Possiamo stare certi che questo mondo lo cambieremo”; “Grazie compagni, grazie compagne”. Queste varie citazioni del discorso di Jacopo Fo al funerale laico della compianta Franca Rame, fanno sorgere spontaneamente una domanda: i comunisti non sono scomparsi, ma ancora ci credono?

Compagni e compagne, pugni alzati, sciarpe e camice rosse, inni partigiani e “Bella ciao”: questa la grande fiera dell’anacronismo che sono sembrati a molti i funerali di Andrea Gallo e Franca Rame, dopo i quali non può non tornare alla mente la lucida riflessione del presidente Giorgio Napolitano di qualche mese fa: «Certo, è stato impossibile – se non per piccole cerchie di nostalgici sul piano teoretico e di accaniti estremisti sul piano politico – sfuggire alla certificazione storica del fallimento dei sistemi economici e sociali d’impronta comunista». Parole chiarificatrici dopo che lui stesso, leader del Partito Comunista Italiano nel 1956, all’indomani dell’invasione dei carri armati sovietici a Budapest, giustificò «l’intervento sovietico in Ungheria», in quanto ha «contribuito in misura decisiva, non già a difendere solo gli interessi militari e strategici dell’Urss ma a salvare la pace nel mondo».

Ha ragione Napolitano, esistono ancora queste “cerchie di nostalgici” che non si arrendono all’illusione del “mondo nuovo”. Ancora non si arrende il teologo rosso Vito Mancuso, che onora il compagno don Gallo spiegando che «la stola sacerdotale, che egli amava e a cui è sempre stato fedele, veniva dopo la sciarpa arcobaleno con i colori della pace che spesso indossava, e veniva dopo la sciarpa rossa spesso parimenti indossata per l’ideale di giustizia e di uguaglianza che a lui richiamava». Prima comunista e no global e poi -semmai- sacerdote, e questo sarebbe un motivo d’orgoglio per Mancuso. Ancora non si arrende il vaticanista rosso Marco Politi, che a sua volta rende gli onori al compagno Gallo sperando che tutti i preti diventino così: «Sigaro in bocca, col bacchetto in testa, tra pugni chiusi e bandiere rosse». Politi identifica chi ha partecipato al suo funerale -come Alba Parietti, Vladimir Luxuria, Antonio Padellaro, Paolo Ferrero e tanti sbandati dei centri sociali- con il vero popolo cattolico, spiegando che i loro fischi al card. Angelo Bagnasco mostrano che «la Chiesa-istituzione è lontana dalle persone». Eppure basterebbe che il noto vaticanista facesse un giro in piazza San Pietro durante un’udienza di Papa Francesco per capire dov’è il popolo cattolico, deducendone che ad essere lontani dalla Chiesa-istituzione sono quelli che inneggiano al comunismo tra pugni al cielo e bandiere rosse, e lo stesso vale per i nostalgici di “Faccetta nera” e delle camicie nere (sacerdote o laico che siano).

Non a caso papa Francesco ha citato e preso come esempio don Pino Puglisi, beatificato proprio il giorno del funerale di don Gallo. E non ha minimamente citato quest’ultimo, facendo infuriare i rossi del “Fatto Quotidiano”. Come ha spiegato Dario Fo, quello che trasmetteva don Gallo era questo: «standogli accanto avevi la sensazione di avere vicino a te un essere che certamente non poteva essere un prete». Probabilmente il giudizio peggiore che possa ricevere chi ha avuto la vocazione sacerdotale! Al contrario, quando si stava con don Puglisi si aveva la sensazione di stare accanto a Cristo, ed è questo ad averlo reso testimone e beato nella Chiesa, anche lui prete di strada ma lontano dalle telecamere e dal potere politico (al contrario del prete genovese). Uno faceva opere, l’altro polemiche è stato sottolineato. «C’è chi dice: “Cristo sì, la Chiesa no”. Ma la Chiesa nasce da Cristo, è la famiglia di Dio», ha detto recentemente Papa Francesco, affondando i continui tentativi separatori dei vari teologi e sacerdoti dissidenti. 

Fratel Ettore, don Oreste Benzi, padre Aldo Trento…a loro occorre pensare quando si parla di “preti degli ultimi”, quando si ascolta l’invito del Pontefice argentino a far risplendere la misericordia di Cristo nelle periferie esistenziali del mondo. Come ha spiegato Antonio Socci, «i funerali di don Gallo segnano la fine simbolica di un mondo, quello del cattoprogressismo degli anni Settanta», una cultura ideologica dalla quale occorre allontanarsi il più velocemente possibile. Si può uscirne guardando proprio Papa Francesco, un altro grande dono del Cielo e dei saggi cardinali, che «sconcerta pure tradizionalisti e reazionari, quelli che si fissano nelle forme, i velluti e le formule».

Gli orfani di Karl Marx, oggi anziani borghesi che stonano sulle note degli inni partigiani, si sono radunati una seconda volta anche durante il funerale laico radical chic di Franca Rame. “Dio c’è, ed è femmina e comunista”, ha urlato Jacopo Fo alla piazza colorata di rosso, come su richiesta della nota attrice, moglie di Dario. «La rivoluzione che non si è riuscita a fare sulla terra si finisce per immaginarla nell’aldilà», ha replicato ironico Maurizio Caverzan. Aggiungendo una perla preziosa: «Quanto alla storia, il Dio che “c’è” come, bontà sua, garantisce Jacopo Fo, è arrivato qualche anno prima di Marx e Lenin. E anche dei premi Nobel. La vera rivoluzione c’è già stata duemila anni fa. Fortuna che non l’abbiamo fatta noi, perché avrebbe immancabilmente riprodotto tutti i nostri limiti. Quando il comunismo non era nemmeno una favola, Dio si è fatto uomo e ha sconfitto la morte. Perciò se qualcuno ha preso in prestito qualcosa per liberare l’uomo è certamente chi è arrivato dopo».

La redazione


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