Nodo alla gola
da Repubblica.it
Per delitto di Roma intendo naturalmente quello che sta riempiendo le cronache nerissime e cuperrime di questi giorni, il delitto che ha avuto per vittima il ventitreenne Luca Varani e per autori Marc Prato e Mauel Foffo, almeno stando a quanto lo stesso Foffo avrebbe dichiarato agli inquirenti. Un pr di eventi gay (l’aperitivo-brunch Ah-Però a Colle Oppio) Marc Prato, il di lui amico Foffo, studente di giurisprudenza fuori corso. Il primo prevalentemente gay a quanto è dato sapere (e adesso salta fuori che avrebbe anche voluto cambiare sesso), il secondo soi-disant eterosessuale, ricattato dal primo per via di un video di un loro incontro sessuale. Sempre stando a Foffo, i due decidono di cercare una vittima da uccidere per vedere l’effetto che fa, “per la voglia di capire cosa si prova ad ammazzare”, per i brividi che il delitto può procurare. Chiamano il povero Luca Varani, già conosciuto da Prato, gli promettono 100 euro in cambio di una prestazione sessuale, Varani accetta, arriva nell’appartamento in cui lo aspettano i due amici-complici, e comincia la mattanza dopo che lui è stato stordito con una mistura ancora da accertare. Prato e Foffo, imbottiti di droghe varie come usa nelle orge e orgette chemsex, torturano e ammazzano nei modi che avrete letto nelle cronache degli ultimi giorni.
Se questo è avvenuto, e sottolineo il se, quante impressionanti somiglianze con uno dei capolavori di Alfred Hitchcok, quel Nodo alla gola, altrimenti detto Cocktail per un cadavere, da lui girato nel 1948 quale esercizio estremo di cinema, con il suo uso virtuosistico del piano sequenza. Ma è quanto raccontato a interessarci stavolta, più che il come. Due studenti di modi assai raffinati, e conviventi nello stesso appartamento con meravigliosa vista sulla skyline di New York, uccidono un loro comune amico strangolandolo. I due, Brandon e Philip, sono legati da una relazione che gli autori del film insinuano, attraverso una sottile pratica allusiva, essere omoerotica, con un incube, Brandon, e un succube facilmente manipolabile, il più debole Philip. Uccidono semplicemente per cattivo niccianesimo, per dimostrare di essere al di sopra di ogni legge morale e per provare il piacere del delitto gratuito e, alla De Quincey, del delitto come una delle belle arti. Ucciso l’amico, lo nascondono in un baule. Seguirà un party in cui la tensione starà tutta nel: riusciranno i due complici a nascondere il delitto e a sfangarla? Non ci riusciranno, perché un loro professore (è James Stewart) intuisce quanto è successo, intuisce la deriva delirante delle loro menti e soprattutto di Brandon, e li smaschera. Ora, i punti di contatto con il delitto di Roma sono tanti. La relazione gay tra i due assassini. La divisione all’interno della coppia criminale tra il dominante-manipolatore e il succube-manipolato. La ricerca del delitto gratuito. La hybris (nel caso di Roma intensificata dall’uso di droghe varie, che nel film ovviamente sono assenti) di chi si sente al di sopra di ogni legge, morale e non. Sarebbe da rivedere, quel lontanto Hitchcock, e chissà mai che non ci fornisca qualche chiave in più per decrittare quanto di oscuro resta nel delitto di Roma.