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“Ma in che Stato vivo?” di Tullio Iaria

Creato il 24 settembre 2013 da Agipapress
A partire da oggi, ospitiamo contributi di colleghi che vogliano esporre il proprio punto di vista su argomenti "caldi" e magari anche presi a spunto da quell'immane piazza virtuale che è Facebook.
Il battesimo del fuoco lo lasciamo a Tullio Iaria un collega giornalista con esperienza di reporter di guerra, che nella sua pagina di Facebook ieri, ha sollevato un problema legato ai costi inutili e ai tagli di spesa riportando dati e cifre, insomma, quello di cui oggi la gente parla di più. E si è trovato una risposta da parte dell'onorevole... 
Lo scoprirete leggendo il suo articolo e cliccando su Facebook alla pagina di Tullio Iaria. I commenti su questo blog sono bloccati ma siamo linkati su Facebook e quindi potete intervenire direttamente sulla pagina di agipapress.it su Facebook Benvenuto a Tullio e a tutti buona lettura.

“Ma in che Stato vivo?” di Tullio Iaria

Tullio Iaria

Pochi argomenti riescono a tenere testa al matrimonio di Belen o all’espulsione di Balotelli e tra questi impera il tormentone dei tagli ai costi della politica. Conosco persone  che sul comodino tengono al posto della Bibbia il libro La Casta; vedo colleghi che il mattino prima ancora della pausa caffè pre-lavoro, si sintonizzano su dago spia e beppegrillo.it per carpire i segreti di quello che è stato e di quello che sarà. Ristoranti, mense, tavole calde sono delle polveriere pronte ad esplodere trasformando ogni astante, finanche l’avventore dal pranzo in piedi, in professori di economia  ed esperti di cose parlamentari. Tutto sarebbe molto divertente se poi alla lunga non provocasse saturazione dei singoli all’argomento trattato, dozzine di realtà alternative dove fatti e dati vengono tirati fuori dal sacchetto dei numeri della tombola, una cortina fumogena che allontana i più dal focalizzare seriamente il problema e sviluppare una visione critico-propositiva sull’argomento. Con queste premesse stamattina mi accingevo a cercare e raccogliere un riscontro per alcuni dati raccolti durante una riunione di quello che fu il primo vero laboratorio propositivo dell’antipolitica (I Circoli della Libertà, abbandonati subito dopo dalla Brambilla la quale inflisse un corpo mortale alla partecipazione di migliaia di giovani alla politica attiva e propositiva del PDL) lanciando una serie di dati sulla mia pagina di Facebook. La consideravo un’attività di routine, quando con stupore ebbi come primo intervento quello dell’onorevole Giorgio Stracquadanio, con il quale si è aperto un confronto molto preciso su quelle che possiamo definire le bufale dell’antipolitica che vengono urlate talmente tante volte che alla fine divengono realtà. Quante volte i dati che leggiamo, che continuamente inviano televisioni, politici e quotidiani, sono reali e non frutto di manovre volte a confondere e a creare un continuo clima di conflitto sociale? Viviamo nel paese del Machiavelli, si può  davvero credere che chi sta a capo di una nazione tra le più avanzate del mondo (ebbene si, storcete il naso, inorridite ma è così: siamo ancora temuti e rispettati per la capacità di pochi che sostengono i molti) ed il suo entourage non siano in grado di effettuare analisi e cogliere i segni della realtà che stiamo vivendo? Allora forse, sento farsi strada vivide le parole dell’onorevole Giorgio che ricorda come la cosiddetta  “società civile” non sia poi meglio della classe politica che adesso vitupera e ripudia… come se ad un certo punto fossero scomparsi 50 anni di commistioni, inviti, cene, scambi di favori, assunzioni, permessi, autorizzazioni e appalti che hanno fatto prosperare, sotto una campana di vetro blindato, un’imprenditoria per lo più incapace di stare in piedi da sola e affrontare le sfide del mondo che pian piano diventava sempre più piccolo. Quando è cominciato il declino? Dove si sono infrante le onde di quella rivoluzione di ingegno e di inventiva che in un solo decennio del dopoguerra aveva regalato al mondo pietre miliari dello stile moderno? Perché gli imprenditori, smisero di essere capitani di vascello e si trasformarono in osti e in alcuni casi in pirati? Tutti hanno gozzovigliato e si sono riempiti le proprie tasche, poi quelle dei parenti, degli amici e degli amici degli amici fino a quando, ad un certo punto, crollò il muro.  Fine della festa. Gli americani non pompavano più soldi alla DC, la Russia aveva qualche problema più serio cui pensare prima di tornare a distribuire soldi ai compagni “spaghetti e martello”: il vetro infrangibile  che aveva difeso la nostra imprenditoria era venuto giù. E abbiamo scoperto che tutti quanti si viveva ben al di sopra delle nostre possibilità, con l’aggiunta di un nuovo problema: c’era un mondo pieno di gente davvero disperata che cercava un posto migliore dove vivere, che ci aveva osservato  per anni e anni nella nostra opulenza attraverso la  televisione e che sperava di poterne averne un pezzetto, se la roulette russa alla quale affidavano la loro vita, fosse stata abbastanza generosa, permettendo loro di fare un giro nell’Amerika del sud. Tutto questo mentre un popolo di 60 milioni di individui cercava con affanno un’identità che sino ad oggi è stata negata prima dall’8 settembre, poi dalla spartizione delle sfere d’influenza, poi ancora dai finanziamenti delle due superpotenze che alimentavano una oligarchia grassa e arrogante che si spartiva una nazione secondo codici e manuali e che adesso non poteva fare a meno di replicare uno schema diventato all’improvviso vecchio, poiché nessun uomo politico aveva mai pensato che sarebbe arrivato il giorno da piano B. In questi sei mesi abbiamo visto di tutto: Berlusconi che minaccia, ritratta, riminaccia, ri-ritratta. Abbiamo votato un Presidente e ce ne siamo ritrovati un altro, lo stesso che la notte dell’elezioni, dando prova di grande immaturità politica ed etica non faceva altro che urlare davanti ad ogni microfono (quando temeva che la sua coalizione avrebbe potuto perdere di stretta misura) che le elezioni erano da rifare dimostrando spregio della volontà del corpo elettorale. Del Presidente della Repubblica trovo più saggio non parlare: solo non capisco questa forzatura sui senatori a vita.
La colpa è dello zingaro, del nero, dell’africano e del cinese. A loro le case, i sussidi, gli sconti e i lavori e a noi niente. Questo, mentre metà paese insiste a voler replicare lo schema che aveva garantito 50 anni di benessere diffuso a tutti, quasi l’evangelico “chiedete e vi sarà dato”. Solo che adesso a sentire le richieste non ci sta più nessuno, e quelle poche che passano, sono le richieste che vengono da coloro che stanno ai piani alti, per i colleghi di piano.
Sarà anche vero che i dati della spesa pubblica sono più segreti del codice della valigetta nucleare di Obama, sarà anche vero che magari i giornali cavalcano il titolone per vendere qualche copia in più, però se si cominciasse a tagliare un milioncino qua e uno là magari alla fine si scoprirebbe che al posto della manovra da 11 miliardi ne basterebbe una da 5 soltanto?
Per potermi organizzare, solo per questo.
Amici degli States mi dicono da sempre che siamo uno stato socialista, ho cercato di spiegare più volte che questo non era vero: poi ad un tratto ho avuto una folgorazione guardando i grillini baciarsi in Parlamento. L’Italia sta ad un sistema economico come la new age  sta alla religione: abbiamo costruito un sistema economico a nostro uso e consumo, lo abbiamo riempito di tutte le cose belle di tutti gli altri sistemi, pensando che avvicinandoli  l’uno all’altro avrebbero dato un qualche esito buono vuoi per magia, vuoi per miracolo o semplicemente per… fortuna! Il minimo comun denominatore di tutti, quello che ogni nazione pone al centro del proprio operato (la chiamo la parte brutta) quella che implica una riflessione e un impegno, la cosiddetta responsabilità, ce la siamo dimenticata per strada pensando che ora la magistratura, poi l’Europa o in alternativa la Madonna o qualche Santo avrebbero risolto i problemi nascosti sotto il tappeto e negli armadi del nostro Paese. E così, ad ogni angolo di strada, dove si parla delle vicende della politica puoi sentire che il problema della nostra disgrazia sono le auto blu, Berlusconi e il bunga bunga che ti fa vergognare quando vai all’estero (come se all’estero non vedessero l’ora di parlare di Berlusconi), no anzi! sono le provincie, ancora Berlusconi, meglio gli stipendi di quei fannulloni che stanno a Roma a non fare niente e dei loro servi in divisa che per tagliare i capelli guadagnano in un mese quanto un maestro in un anno, Berlusconi e i giornalisti che quando fanno uno scoop (ancora qualcuno ci prova a fare il mestiere) diventa un impastatore di fango manco fosse un mastro della cazzuola bergamasca. Mi soffermo un attimo su un’altra frase dell’onorevole Giorgio: “Avete fatto caso che la protesta contro la "Casta" è iniziata quando la spesa pubblica e il debito hanno smesso di crescere a go-go a causa dei vincoli europei?” Devo fare uno sforzo, non posso dimenticare  mesi di campagne stampa contro i costi della politica, lo spreco, le auto blu della Boldrini, le tette rifatte a spese nostre del fu Wladimiro Guadagno, i diamanti della Lega, le case rifatte, comprate e venduta all'insaputa dei proprietari. Forse vuol dire che qualche collega comincia a sentire i morsi della fame? Che qualche redazione sente la fredda mano della disoccupazione che avanza e per questo hanno deciso (al posto di rimboccarsi le maniche) di fare la guerra a quei bastardi dal braccino corto? Che non sono vere tutte le storie di spigole consegnate in elicottero, case con servitù e attici con balconi da 100 metri per ogni stella sopra la greca? Che alla fine finisce tutto con un buffetto?  Chi dirà ora all’onorevole Brunetta che si deve cercare un altro cavallo di battaglia? Proprio lui che aveva dichiarato che si può tagliare spesa fino a 300 miliardi (a me ancora la parola miliardi mette i brividi). Ma soprattutto alla fine qualcuno si deciderà a dirmi in che stato vivo? Tullio Iaria

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