"Mappa di un paese in rovina. L'Italia è crollata". Tutti oggi sentiamo così, ma se guardate la data non è quella di oggi: l'articolo risale al 1975 e l'autore sconsolato dell'invettiva è Antonio Cederna sulle pagine della rivista Il Mondo. Come allora, anche oggi, le rovine non sono quelle di un passato glorioso, ma quelle fumanti del terremoto, quelle tossiche del degrado e dell'incuria, quelle lorde di sangue delle macerie delle tutele, che si manifestano con la morte degli operai sotto capannoni che non sono stati messi in sicurezza anche se il Presidente del Consiglio con la solita invereconda spocchia ha detto che il Governo non è stato "colto impreparato dal ripresentarsi dell'emergenza". Si sono crollati silos, case, fabbriche, si sono sgretolati campanili, chiese, palazzi dei comuni quelli immersi pacificamente nel paesaggio da centinaia di anni a perenne memoria come "testimonianze avente valore di civiltà", ora soltanto pietre e polvere, macerie di una Italia che continua a perdere pezzi della sua gente, della sua identità e della sua storia.
C'è qualcosa di aberrante in un governo che colloca l'esercito nei punti sensibili a rischio terrorismo, ma non ha ancora stabilito se siano a rischio e sensibili le zone terremotate, che lo fa sfilare in una ridicola passerella che dovrebbe ostentare la muscolarità di un Paese vulnerabile, ferito e offeso. C'è qualcosa di aberrante in un governo che pensa di mettere in moto l'economia paralizzata liberalizzando le edicole o perseguendo l'insano progetto di grandi opere, anziché indirizzare l'impegno costruttivo con un new deal del territorio, con la messa in sicurezza del patrimonio edilizio, del suolo, dell'assetto idrogeologico, delle scuole, degli ospedali. C'è qualcosa di aberrante in un governo che va a implorare uno sconto ai cravattai europei, invece di reclamare aiuti e solidarietà come dovrebbe essere naturale in un contesto regionale unito magari anche solo attraverso una moneta pericolante. C'è qualcosa di aberrante nella sfrontata abitudine del ceto dirigente a chiamare naturali eventi forse inevitabile, ma dei quali è obbligatorio contrastare gli effetti mortali, prevenire gli aspetti più rovinosi, contenere le più tremende ricadute. C'è qualcosa di aberrante nel celebrare i fasti di una prosperità che non c´è più, mentre invece il degrado del territorio avanza con ritmo spietato, sentiamo replicando incongruentemente i modelli di uno "sviluppo" economico concluso e dimenticato, basato sul moltiplicarsi di autostrade e ferrovie (anche se inutili) e sul rilancio dell´edilizia (mediante condoni, sanatorie, "piani casa").
Che la democrazia sia fragile lo dimostra, come un implacabile indicatore, lo stato del territorio. L'Istat e l'Ispra hanno pubblicato censimenti che hanno contabilizzato almeno mezzo milione di frane, che interessano poco meno del 10% del nostro territorio, un degrado accelerato dall´abbandono delle coltivazioni e da incendi boschivi il piu' delle volte dolosi, ma ancora di più dalla cementificazione (infrastrutture e insediamenti abitativi) che sigillando i suoli accresce la probabilità di frane e alluvioni e ne rende più gravi gli effetti, dall´incuria per il regime delle acque, che riduce le risorse idriche e genera disastrose esondazioni, con danni economici che, sempre secondo l'Ispra, ammontano a almeno 5 miliardi di euro negli ultimi sette anni senza contare le continue perdite di vite umane.
Per non parlare delle zone costiere: quasi 5.000 chilometri colpite da fenomeni di erosione e a rischio allagamento per almeno il 24% (dati Ispra). Ma proprio quelle investite da fenomeni speculativi: un turismo dissennato, un proliferare di villette e albergoni e una disseminazioni di porticcioli per un popolo che sta rinunciando anche all'auto e chi dice che sia una disdetta.
Perfino Bertolaso attribuì all'abusivismo edilizio la frana di Giampilieri presso Messina, che nell´ottobre 2009 uccise quaranta abitanti. Ma questo non ha fermato l'insensato progetto del Ponte e lo stillicidio di denaro che, farlo o non farlo, comporta. E invece non si sono stanziati i fondi "due o tre miliardi di euro", così si disse allora, per consolidare le coste dello Stretto, "uno sfasciume pendulo sul mare" secondo la celebre definizione di Giustino Fortunato. Per non riparlare di altre favole dello sviluppo insensato come la Tav, particolarmente offensive del buonsenso, quando in caso di terremoto, ma anche di nevicata, la circolazione dei treni si blocca.
Sembra che siamo il Paese dei record, soprattutto quello dell'idiozia si direbbe. Così il paesaggio italiano è fra i più devastati d´Europa. A fronte di un incremento demografico pari a zero, si registra il più alto consumo di suolo del continente: incentivi, sanatorie e condoni hanno punteggiato la nostra geografia di migliaia di capannoni "industriali" dove non si produce nulla e nulla viene immagazzinato, sono almeno due milioni gli appartamenti invenduti, eppure si continua a costruire, mentre si svuotano preziosi centro storici consegnati alla speculazione secondo le illusorie pulsioni provinciali a una modernità già arcaica.
L'invisibile Ornaghi nel segno della continuità nulla fa per rettificare quanto compiuto dal governo Berlusconi che tagliò quasi un miliardo e mezzo al già languente bilancio del ministero dei Beni culturali (luglio 2008). Le strutture pubbliche della tutela hanno visto un vertiginoso ridursi di funzionalità e capacità d´intervento, cala ogni giorno il numero degli addetti, per pensionamenti e assenza di turnover, la loro età media si avvicina ormai ai 60 anni, aumentano sulla carta i loro compiti: devono reggere due, tre, quattro uffici spostandosi da una città all´altra, e intanto mancano i soldi per telefono, benzina, luce elettrica. In attesa di privatizzarle si è parlato di chiudere le Soprintendenze, accorpando gli ultimi superstiti in uffici regionali senza competenze, senza bilancio, senza poteri. In barba alla Costituzione, anch'essa ormai trattata come un ammuffito reperto.
L'elevato rischio sismico che caratterizza l'Italia è legato alla posizione della nostra Penisola, situata lungo la zona di convergenza tra la zolla eurasiatica e quella africana e dunque sottoposta a continue spinte compressive e ad accavallamenti. Il terremoto sarà pure un evento naturale ma non può non apparire innaturale che a fronte di questa diagnosi da sussidiario non si voglia fare esperienza della storia e anche della cronaca: l'intensità dei terremoti che si registrano sul territorio italiano sono in grado di generare danni gravi ed estesi, associati a elevatissimi costi socio-economici. Basterebbe guardarsi il sito istituzionale della Protezione Civile: in 2.500 anni, sul territorio italiano si sono verificati oltre 30.000 terremoti, di cui 560 di intensità e magnitudo rilevanti (oltre l'ottavo grado della scala Mercalli); solo nel secolo scorso (1900-2000) sono stati registrati 7 terremoti con effetti classificabili tra il decimo e l'undicesimo grado della scala Mercalli; ed è nota, a inizio del XXI secolo, la gravità dell'evento sismico che ha colpito il territorio aquilano nell'aprile 2009, con oltre 300 morti e danni ingentissimi ad abitazioni, infrastrutture e, più in generale, all'intero sistema economico e sociale della provincia. Dal 1860 sino al 2010 sono stati rilevati in Italia almeno 43 terremoti che hanno causato perdite di vite umane, per un totale di oltre 164.000 vittime in circa 150 anni. Per ciò che riguarda invece la valutazione dei danni alle cose (strutture ed infrastrutture) associati ai terremoti, un dato di riferimento autorevole è ricavabile da un recente approfondimento sul rischio sismico redatto direttamente dal Dipartimento della Protezione Civile (settembre 2010). In particolare, nel documento si specifica come "[...]I terremoti che hanno colpito la Penisola hanno causato danni economici consistenti, valutati per gli ultimi quaranta anni in circa 135 miliardi di euro [a prezzi 2005], che sono stati impiegati per il ripristino e la ricostruzione post-evento. A ciò si devono aggiungere le conseguenze non traducibili in valore economico sul patrimonio storico, artistico, monumentale. [...]". Attualizzando tale valore, si ottiene un valore orientativo complessivo dei danni causati da eventi sismici in Italia pari a circa 147 miliardi e, di conseguenza, un valore medio annuo pari a 3.672 milioni di euro/anno.
Al governo dei ragionieri poco incline alla ragione e al buonsenso sfugge, come a quello del clown e a troppe compagini precedenti, che i costi superano gli investimenti in prevenzione. Che un territorio abbandonato e trascurato è irrecuperabile. Che lo Stato deve diventare l'imprenditore della salvaguardia e della salvezza dei cittadini, altro che salvare banche e grandi imprese in fuga. Dalla disperazione nasca il coraggio, intanto quello di mandare a casa la cupola del cinismo, dell'indifferenza e della menzogna, di sgretolare l'edificio delle regole autodistruttive di calcolo finanziario che vogliono governare ogni aspetto della vita. Altrimenti " distruggeremo le campagne perché le bellezze naturali non hanno valore economico. Saremo capaci di fermare il sole e le stelle perché non ci danno alcun dividendo".