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Mussolini: rassicurante come un governo tecnico?

Creato il 24 maggio 2012 da Ilcasos @ilcasos

Il Giornale non stupisce più nessuno, neanche se pubblica un (ennesimo) articolo in cui il fascismo diventa un momento duro ma necessario. La strategia è la solita: si prende il fascismo, lo si ribalta come un calzino per renderlo un contenitore vuoto, inutile, incapace di dire alcunché all’Italia di oggi e alle persone che la vivono.
In fondo cosa fu mai la Marcia su Roma se non una rassicurante passeggiata? Certo un colpo di mano, cui seguì un lungo momento di autoritarismo, ma «legalitario», «devoto», «non-totalitario». Come a dire: la sua fu una violenza necessaria ad evitare che il paese fosse travolto dalla guerra civile dei rossi, loro sì totalitari, violenti, incapaci di rinunciare al loro programma in nome della “bandiera”. Ed ecco allora Veneziani a dichiarare che la crema della cultura italiana, in realtà, vide di buon occhio la marcia del Duce, intravedendo la pacificazione. Non importa quali circostanze abbiano portato i vari Pirandello, Ungaretti, Saba e tanti altri ad aderire al fascismo, quando e come. Basta buttare quel riferimento sulla carta e il gioco è fatto.
Mussolini fu l’austerità necessaria a sorpassare un momento difficile. E poco importa se le italiane e gli italiani di allora hanno dovuto mandarlo giù a forza di olio di ricino, soffocando anni di tumulti e speranze, di laboratori, esperimenti e cultura. E dopo appena venti anni, la «democrazia riprese laddove era stata interrotta», come dopo un governo tecnico. Ops… ci è scappato.

Alfredo Mignini

Da: il Giornale.it, 21/05/2012 (tit. or. La Marcia su Roma? Servì a Mussolini per rassicurare l’Italia di Marcello Veneziani)

Novanta anni fa il Pnf andava al potere. Né colpo di Stato, né insurrezione, né crisi parlamentare. I fatti del ’22 riportarono all’ordine un Paese indisciplinato.

Ma cosa sarebbe accaduto se il Re avesse firmato lo stato d’assedio e avesse impedito la Marcia su Roma? Ci sarebbe stata la guerra civile, i rossi sarebbero accorsi a dar manforte ai militi che fino al giorno prima sputavano o si sarebbero alleati ai fascisti? Non ci sarebbe stato il fascismo? Domande di patafisica che mi ponevo l’altro giorno a Gorizia, parlando della Marcia su Roma novant’anni dopo, al Festival «èStoria».

March_on_Rome

Mussolini, Roma, 28 ottobre 1922

Cosa fu la Marcia su Roma? Una controrivoluzione preventiva, come scrisse l’anarchico Luigi Fabbri e dissero i comunisti? Un colpo di stato, come scrisse Missiroli? Una crisi parlamentare con salutare soluzione extraparlamentare, come pensò Croce? Una rivoluzione indolore, senza vittime e senza caos, come poi disse il Re? Un’insurrezione che poi diventò regime, come scrisse Mussolini? Una rivolta solo minacciata, una parata con prova simulata di rivoluzione? Sul piano dei fatti la Marcia su Roma fu tutto questo. Ma nel suo significato politico la Marcia su Roma fu una «rivoluzione rassicurante». Così fu concepita dal suo Capo. Fu una rivoluzione rassicurante perché volle rassicurare il Paese e il suo establishment, il popolo e i “palazzi”. Già dal 1921 il rivoluzionario Mussolini aveva lasciato i toni antisabaudi, anticlericali e antiborghesi. Con la Marcia rassicurò la Corona, lo Stato, le Istituzioni, le forze armate e i militi, la Magistratura, la Chiesa, la Borghesia, il Capitale, e pure il Parlamento, fece un governo di coalizione. E rassicurò gli italiani che si sarebbe ripristinata la legalità, l’ordine pubblico, la vita normale, la sicurezza sociale.

«Tutto funzionò in quei giorni – disse sette anni dopo il Re – non ci furono vittime, le scuole restarono aperte, i tribunali, i magistrati fecero il loro dovere, gli operai andarono ugualmente fiduciosi a lavorare». La rivoluzione, per il Re, riportò ordine nel «popolo più indisciplinato della terra».

In secondo luogo, la Marcia su Roma non fu la calata dei barbari sulla capitale. L’azione fascista nasceva dal grembo della cultura italiana, dopo lunga incubazione.

Non la sostennero solo gli agitatori dell’arte e della letteratura, del giornalismo e del pensiero, i futuristi e i nazionalisti, Papini, Prezzolini, Soffici, D’Annunzio, Malaparte. Ma all’inizio anche fior di liberali come Benedetto Croce e Giovanni Gentile, Vilfredo Pareto e Gaetano Mosca, Maffeo Pantaleoni e Luigi Einaudi, Alberto de’ Stefani, Luigi Albertini e Ugo Ojetti. E personalità come Giacomo Puccini e Guglielmo Marconi, Luigi Pirandello, Ada Negri e Giuseppe Ungaretti, Umberto Saba e Giuseppe Rensi, il duca d’Aosta e la Regina Margherita. Croce addirittura presiedette nel 1914 il Fascio d’ordine che auspicava l’alleanza tra liberali nazionali e cattolici e criticava la massoneria, il giudaismo e il parlamentarismo. Poi paragonò le squadre fasciste alle «orde del cardinale Ruffo che avevano servito a scopi nazionali» e, da seguace di Sorel, disse a Giustino Fortunato che «la violenza è levatrice della storia». Alla Camera votò la fiducia al Duce anche dopo il delitto Matteotti.

Quando Lenin ricevette al Cremlino una delegazione della sinistra italiana guidata da Giacinto Menotti Serrati, disse che in Italia la rivoluzione potevano farla solo tre capi: D’Annunzio, Marinetti e Mussolini. Però gli altri due erano poeti… Ma D’Annunzio a Fiume fornì il prototipo alla Marcia su Roma.
Nel 1921 Mussolini siglò un patto di pacificazione con i socialisti, mentre nasceva il partito comunista dalla costola rivoluzionaria del Psi che era stata più vicina a Mussolini ai tempi dell’interventismo rivoluzionario: da Gramsci e ad Angelo Tasca, dall’interventista Peppino Di Vittorio a Nicola Bombacci, che poi finì fascista, ucciso insieme a Mussolini a Salò. Non a caso l’Italia fascista fu il primo Paese a riconoscere l’Unione Sovietica pochi mesi dopo la Marcia su Roma. Per Soffici la differenza tra la rivoluzione fascista e quella sovietica fu netta: «Mussolini è italiano, cioè appartenente a una civiltà superiore, a una razza di liberi, di saggi, di generosi. Mussolini non è un pazzo, un degenerato, un sanguinario cittadino di un paese incivile, primitivo, brutale e malato come la Russia… il fine di Mussolini è la pacificazione sotto la bandiera italiana».
Dove nasce la Marcia su Roma? Dalla Guerra vinta e sanguinante, frustrata e mutilata, i tanti caduti, l’esperienza del fronte con l’adrenalina ancora in circolo, le sue ferite aperte e le sue energie rimaste attive. Nasce poi dal caos del dopoguerra, dagli scioperi e dalle violenze del biennio rosso. E ancora: nasce dal cortocircuito tra decadenza politico-civile ed esuberanza giovanile-culturale. Infine dalla forte personalità di un Capo che fu chiamato Duce (dicono che il primo ad appellarlo in quel modo fosse stato Pietro Nenni, già suo compagno di galera, ai tempi dell’interventismo rivoluzionario).

Il fascismo fu, come scrisse Nolte, «il modello di una rivoluzione conservatrice e incruenta».

Domenica del Corriere, 12 dicembre 1943

«Una banda di comunisti.. ha barbaramente trucidato.. don Francesco Grabenia. La salma del martire, come quelle di molti altri italiani colpiti dalla ferocia sovversiva, è stata ora ritrovata...» (Domenica del Corriere, 12/12/1943)

Rivoluzione-restaurazione. Eppure era imbevuta degli umori più rivoluzionari: Marx, Nietzsche e il loro anello di congiunzione, Sorel, teorico della violenza. La stessa cosa avvenne con il totalitarismo: la parola fu coniata per il fascismo, la rivendicarono Gentile e Mussolini, ma il fascismo non fu mai un regime totalitario compiuto: non ne ebbe i tratti delineati dalla Arendt e la ferocia, ma anche perché durante il regime Monarchia e Chiesa, Capitale e Apparati dello Stato restarono in piedi, quasi indenni. Il fascismo fu un regime autoritario di massa, e poi una dittatura cesarista e nazionalpopolare.

Nel ’21 Mussolini si fece monarchico e legalitario, fu il primo «ateo devoto», ritenne la missione universale della Chiesa romana un orgoglio per l’Italia. Impresse la svolta di regime, come egli stesso scrisse su Gerarchia, quando istituì il Gran Consiglio del Fascismo e la Milizia Volontaria per la sicurezza nazionale, da un verso costituzionalizzando il fascismo ma dall’altro ponendo sotto tutela fascista lo Stato. È curioso infine ricordare che nel ’21 nelle consultazioni al Quirinale l’allora deputato Mussolini suggerì al Re di nominare capo del governo il presidente della Camera di allora, Enrico De Nicola. Quando cadde il fascismo e poi la monarchia, il monarchico De Nicola fu il primo provvisorio presidente della Repubblica. Heri dicebamus, avrebbe detto Croce. La democrazia riprese laddove era stata interrotta, e seguì il consiglio del Dittatore…

 


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