Ieri leggo questo, in cui si discute d'un problema secolare le cui conseguenze vanno dalla semplice ('semplice' si fa per dire, vedi l'ennesimo suicidio di giovane ragazzo gay vittima di bullismo) mortificazione di ambizioni/libertà degli esseri umani all'eliminazione fisica di chi si ribella alla norma scegliendo di seguire - quel sistema castrante che va chiamato col suo nome, ovvero patriarcato - e mi colpisce una passaggio: "per le persone mutilate non c’è risarcimento alcuno che non sia il riconoscimento pubblico che ti sa imporre solo lo status di vittima". Sante parole!
Ché da un paio di mesi ho concluso un rapporto deprimente, misero e ridicolo che manco so come definire visto che non si può chiamare 'd'amore' essendo stato basato su quella che credevo una profonda amicizia e vissuto da parte mia con ben poca convinzione rispetto a un'eventuale prospettiva sentimentale futura (tanto per capirci, a un amico che mi chiese "se lui in questo istante ti proponesse l'aut aut di un impegno serio come una convivenza, tu cosa risponderesti?", io dissi "così come lui è ora assolutamente no: sarebbe una pena e un inferno; prima dovrebbe fare tutto un percorso di cura affrontando e risolvendo i suoi problemi per conto suo, poi si vedrebbe..."), ma con da parte mia
a) un ideale profondissimo di solidarietà verso una persona che tanti anni orsono era inquieta ma buona,
b) la volontà di aiutarla ad affrontare il suo dolore che lei mi ha raccontato di vivere da anni e che si vedeva pure chiaramente,
c) il saldo sostegno allo sforzo di uscire dall'ipocrisia di una vita spesa nella finzione verso se stessa e verso gli altri che l'aveva portata addirittura a malattie croniche.
Reazione finale? Rabbia profonda mia (anche perché l'amico ha un lavoro stupendo con cui scrive, tiene lezioni in giro e quindi incide in questa società, ma facendolo con tale ipocrisia potete immaginare quanto ciò mi mandi fuori dai gangheri!) e commento gridato ai quattro venti suo che io avrei "voluto qualcos'altro, ma in cui lui non è stato per disinteresse" (yes: dev'essere per questo che il noto spilorcio ha sborsato per me un sacco di soldi in ristoranti, viaggi ecc.).
Dio che vera e propria violenza alla mia persona e alla mia buona fede!
E pure amici comuni, oltretutto gay - dai quali quindi ti aspetti maggiore sensibilità e consapevolezza - che commentano dicendo cose come: "Hai incontrato un maschio 'alfa', sei una vittima: adesso devi oltrepassare il rifiuto di cui sei stata oggetto".
Ma che cosa state dicendo? Di che state parlando? Io sto parlando d'altro!
Non vedete che questo in cui credete è solo uno schema che ci inculcano da secoli quando tirano a renderci con lo stampino tanti mattoncini funzionali al sistema? Un grande inganno, di cui tanti non sono consapevoli perché radicato dentro di noi nel profondo!
Per questo ha ragione Aurora quando condanna l'uso della parola 'femminicidio' e si scaglia piuttosto contro quella sciagura culturale che plasma la nostra forma mentis sin da piccoli dal nome di 'patriarcato'!*
Io non sto male perché è finito il rapporto con una persona che ha rifiutato di prendere coscienza di ciò che è - per cui no al BDSM che tanto le piace perché è una cosa vergognosa e disdicevole che 'non si fa'; no alla libertà verso cui sente afflato da sempre con la solita tiritera che sarebbe un'utopia irrealizzabile e quindi è infantile crederci; credere ancora nei propri sogni infine neppure, perché "ormai siamo adulti, non abbiamo più 20 anni!" - e di affrontarsi in modo maturo (pur se aveva espresso per mesi la propria intenzione di volerlo fare, ma di non riuscirci da sola) magari con l'aiuto di uno specialista,
senza rifugiarsi in ruoli facili,
senza diventare una macchietta, un'ombra, un vuoto involucro,
senza castrarsi per adeguarsi alle aspettative altrui sulla sua vita (tipo dei suoi genitori, e stiamo parlando di uno che ha 45 anni, eh!)
che le dicono che deve essere inquadrata, seria, diligente e senza grilli per la testa,
che le dicono che dev'essere un mattone in un muro - anonimo e funzionale a quello scopo.
E il fatto che mi preoccupi vagamente se sia viva o morta, se stia bene o male, mi sembra quanto minimo 'umano' - sarebbe grave piuttosto se non pensassi più ai suoi problemi di salute, alla sua devastazione dell'anima, a riflettere su cosa posso aver sbagliato per non essere stata in grado di aiutarla così che un domani, in una situazione analoga, riesca io a combinare qualcosa di utile e buono e non ad alimentar eun danno.
Io sto male perché in questa mia vita in cui sono disadatta, disadattata e disadattabile, sono anche dannatamente libera e felice (sì, sono felice anche di provare entusiasmo per la vita stessa un giorno e pensare di farla finita quello successivo) e mi dà rabbia - una rabbia inaudita - che chi ha castrato se stesso e costruito la propria esistenza sull'ipocrisia si permetta, poi, di darmi/ci lezioni di vita, o di farmi/ci passare per deficiente/i.
Perché il discredito delle donne rigorose passa attraverso strategie di secoli con le quali il sistema patriarcale le tira ad annientare - da Freud che le definiva delle isteriche, all'uomo moderno che le divide tra sante/mogli e amanti/puttane, e che quando non ha argomentazioni (perché non ne può avere, viste le premesse) per sostenere le proprie posizioni vigliacche discredita la persona pulita che lo sta guardando con pietà.
Ringrazio Monica per la segnalazione dell'articolo di Abbatto i muri, e Aurora Leigh per il suo lavoro quotidiano (e la sua esasperazione da Freud).
*"La storia ci ha insegnato che ogni classe oppressa ha ottenuto la sua liberazione dagli sfruttatori solo grazie alle sue stesse forze. È dunque necessario che la donna apprenda questa lezione, comprendendo che la sua libertà si realizzerà nella misura in cui avrà la forza di realizzarla. Perciò sarà molto più importante per lei cominciare con la sua rigenerazione interna, facendola finita con il fardello di pregiudizi, tradizioni ed abitudini. [...] Se dalla parziale emancipazione si passerà alla totale emancipazione della donna, bisognerà farla finita con la ridicola concezione secondo cui la donna per essere amata, moglie e madre, debba comunque essere schiava o subordinata. Bisognerà farla finita con l'assurda concezione del dualismo dei sessi [...]" (Emma Goldman).