Anna Lombroso per il Simplicissimus
In questi tempi di frettolose e sbrigative letture di risvolti di copertina del Bignami del Corano o di wikiquote sul sacro libro della religione islamica e sui codici genetici di chi la professa, nei quali sarebbero connaturati violenza, barbarie e imperativi refrattari a logica, umanità e democrazia, potrebbe essere consigliabile anche la lettura del testo che ha ispirato principi morali, valori e comportamenti propri della nostra civiltà minacciata e che, per crudele implacabilità, non ha proprio nulla da invidiare.
A cominciare da un concetto molto citato in questi giorni a proposito di pesanti eredità, di genitori discussi e rampolli offesi.
I padri han mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati, recita un passo della Bibbia, di Geremia, che sta a significare che le colpe dei padri ricadono sui figli. Versetto controverso cui è stato contrapposto l’illuminato parere del profeta Ezechiele (18, 1-13. 20-32) secondo il quale ciascuno sarà giudicato in base alle proprie azioni, chiamando addirittura in causa un dio piuttosto adirato: Com’è vero ch’io vivo, dice il Signore Dio, voi non ripeterete più questo proverbio in Israele. Ecco, tutte le vite sono mie: la vita del padre e quella del figlio è mia; chi pecca morirà.
Per secoli in realtà, la chiesa ha sancito il primato della prima ipotesi, se la discendenza degli antichi sudditi di Erode Antipa o dei lontani “governati” da Ponzio Pilato, è stata perseguitata e imputata con l’accusa di deicidio.
Per fortuna lo stato di diritto e le leggi hanno invece esaltato i principi della responsabilità personale in sostituzione delle colpe collettive o “ereditate” giù per li rami.
Tutto bene, anche se non è peregrino allora osservare che in osservanza di questo illuminato caposaldo cardine di un’etica razionalista, dovremmo anche esplorare il campo inviolato e inviolabile, si direbbe, dei benefici, delle prerogative e dei privilegi trasmessi per via ereditaria alla prole in tutti i contesti, accademico, professionale, castale, sociale.
A cominciare dal disgustoso sistema+ del diritto d’autore che permette una vita beata a generazioni di debosciati, illetterati, scansafatiche, cretinetti, speculatori, toccati dalla fortuna di essere frutti o ultimi sottoprodotti di un atto “creativo”, il più rapido, il più carnale e il meno consapevole degli effetti a venire, come invece vorrebbe una accezione generalizzata della responsabilità applicata a ogni nostra azione, per le sue conseguenze sul futuro, in modo che sia “compatibile con la continuazione di una vita autenticamente umana”.
Ma ormai ogni concetto legato all’etica nei pensieri, negli atti e nei comportamenti viene retrocesso a molesta espressione di moralismo, a ammuffito richiamo a attitudini bacchettone e arcaiche, o peggio ancora, al manifestarsi di invidioso disfattismo di frustrati giustamente esclusi e marginali rispetto al libero e radioso dispiegarsi di ambizioni, facoltà, beni e privilegi. Tutti per lo più resi accessibili a una generazione di giovinastri già un bel po’ attempati ma non maturi, senza meriti o talenti, se non la fidelizzazione e l’ubbidienza, grazie agli uffici e al prodigarsi di padri putativi, padrini, patron che hanno provveduto a insediarli senza che fossero costretti a subire valutazioni, esami o verifiche, nemmeno quella elettorale, per via della loro accertata indole a eseguire comandi, a concretizzare scelte anche criminali o comunque lesive dell’interesse generale, senza discutere. Anzi con l’entusiasmo del boia e l’indifferenza di chi agisce il male banalmente, senza, appunto, responsabilità.
Siamo andati peggiorando di generazione in generazione: ai maleducati di un tempo sono succeduti i teppisti di oggi, che rivendicano la licenza da ogni regola di comportamento che investa la sfera dell’etica pubblica e dell’opportunità politica, con tracotanza superiore a quella dei precedenti e burbanzosi aspiranti golpisti. Dimostrando anche un arrogante disprezzo del ridicolo da parte di un governo che da un lato ha rivendicato e rivendica l’adozione di criteri ultra rigorosi quando, a parole, invoca la rottamazione, ma dall’altro si esibisce con le stesse prassi, le stesse modalità e gli stessi vizi degli esecutivi che lo hanno preceduto. Forse addirittura rafforzato dal cattivo esempio che comunque ha avuto successo e che quindi si replica se riflettiamo allo scandalo suscitato dall’accaduto del 2003 quando Berlusconi si fece promotore del decreto salva Rete4 e per non incappare nel conflitto d’interessi uscì dalla stanza del Consiglio dei Ministri mentre i suoi amici ministri, eseguivano i suoi ordini. Proprio come ha fatto la Boschi che ha ritenuto di sottrarsi al conflitto d’interessi uscendo dal Consiglio dei ministri per ben due volte mentre si decretava il salvataggio di alcune banche tra cui Banca Etrutria. La Boschi difesa a oltranza da una corte di ammiratori anche esterni al governo e di sussiegosi opinionisti, gli stessi che in passato davano addosso al gran cialtrone, colpevole di essere solo apparentemente più sguaiato, più becero, più vecchio, più brutto, più maschio, e dio sa se ci teneva.
Allora a Berlusconi vennero reiteratamente rivolte 10 domande. A questi basterebbe rivolgerne una sola: quando ve ne andate? Ma forse la domanda dobbiamo rivolgerla a noi stessi: fino a quando potranno abusare della nostra colpevole pazienza?