Un interessante intervento alla
Radio satellitare iraniana in lingua italiana dello scrittore Stefano Anelli
(alias John Kleeves). Le coordinate satellitari della radio, se ancora
esiste, sono: HotBird 3, 13° Est, 12.437 Mhz, H. L’intervista, rilasciata il 7
novembre 2004, commenta le elezioni presidenziali americane appena conclusesi
con la conferma del presidente uscente George W. Bush e tocca argomenti che definire
attuali e’ un eufemismo. Oltre ad ispirare l’intuitivo parallelismo Iraq-Libia
che molti osservatori hanno gia’ sottolineato, Kleeves accenna allo scandalo
Lewinsky che, a suo dire, servi’ a smuovere un Clinton titubante ad
invadere il Kosovo. Chi ci ricorda?
Kleeves chiude l’intervento
con un’affermazione sorprendente: meglio abbia vinto Bush piuttosto che Kerry
(il candidato democratico). Oggi, dopo il passaggio di consegne del 2008,
sorprende accorgersi di quanto avesse ragione.
Segnalo a chi non conoscesse
l’autore, che Stefano Anelli e’ morto il 18 settembre 2010 trafitto da una
freccia di balestra. E’ stato trovato di notte nella sua auto.
Sulla sua morte non si e’ indagato un gran che e la documentazione e’ scarsa. Ci
sono comunque due versioni sull’accaduto. Quella ufficiale dice che Stefano
Anelli e’ impazzito (ricorda qualcosa?), ha accoppato la nipote a bastonate,
ha staccato una vecchia balestra del nonno da sopra il camino e poi si e’
suicidato con quella puntandosela addosso nell’auto in corsa. Questa e’ la
versione ufficiale. Poi c’e’ l’altra.
Ecco l’intervista:
Stefano Anelli (alias John Kleeves)
- Dottor Kleeves, come giudica le ultime elezioni
statunitensi?
Innanzitutto,
dal punto di vista tecnico, direi che hanno confermato l’essenza oligarchica
degli USA. Come al solito hanno votato in maggioranza i più ricchi. Negli Usa
la percentuale dei votanti rispetto agli aventi diritto (che sono i maggiori di
18 anni meno i malati mentali accertati e specie meno quelli che hanno subito
condanne penali di qualche rilievo, che sono molti) è ormai da decenni
assestata sul 25-30% alle elezioni di Contea, 30-35% alle elezioni degli Stati,
e 50-55% a quelle elezioni federali che sono anche abbinate alla scelta del
Presidente. Questa volta si trattava dell’ultimo tipo e l’andamento è stato
confermato.
La
popolazione degli Usa secondo il censimento effettuato nel 2000 è attorno ai
280 milioni di individui, dei quali circa il 75% maggiori di 18 anni; gli
aventi diritto sono dunque circa 210 milioni ma ad avere votato sono stati,
secondo i dati che circolano adesso, che saranno certo corretti fra un po’ di
tempo, 112,5 milioni pari al 53.5%. Come nella media, magari diciamo nella
media alta, più vicino al 55% che al 50 o addirittura al 49% del 1996. Si
tratta poi certamente dei più ricchi.
Negli Usa ci sono un 25% di decisamente ricchi, un 25% di assolutamente
poveri (70 milioni di persone, senza assistenza sanitaria, senza lavoro
fisso, senza dimora decente - gli homeless,
cioè i senza casa, sono 4-5 milioni) e un 50% con reddito accettabile,
in genere operai e impiegati stabili: la partecipazione alle urne, come
mostrato da tutte le statistiche, è proporzionale al reddito, per cui in
maggioranza alle elezioni di Contea vota praticamente solo la fascia più ricca,
a quelle di Stato praticamente si aggiunge a questa il quinto più ricco della
fascia a reddito accettabile, aggiunta che nelle elezioni federali con la
presidenza in ballottaggio arriva alla metà, più sparute rappresentanze dei
meno abbienti, con i 70 milioni di poveri che continuano a essere quasi del
tutto assenti.
Comanda dunque nelle elezioni
Usa lo zoccolo duro dei più ricchi che vota sempre,
cominciando da quelle elezioni di Contea che sono le meno reclamizzate ma che
sono anche le più importanti perché nominano le cariche locali che poi
gestiranno tutti gli altri processi elettorali.
Ma la cosa davvero significativa, la sottigliezza che bisogna davvero
afferrare, è che questa così scarsa e così selettiva affluenza alle urne è
VOLUTA dal sistema. Sono messi in atto vari accorgimenti, diversi da Stato
a Stato; alcuni arrivano a stabilire i seggi elettorali in luoghi così poco
appetibili come locali carcerari e scantinati municipali. Ma il grosso delle
esclusioni è ottenuto in due modi: richiedendo in Municipio la specifica
registrazione come elettore - che scade mancando anche solo due elezioni
consecutive - e non imponendo il pagamento del tempo perso per andare a votare
da parte dei datori di lavoro, che difatti non lo pagano (come accaduto lo
scorso 2 novembre, giorno lavorativo; d’altra parte le elezioni non sono mai
fissate di domenica). Ciò esclude a seconda dei casi dal 50 al 75% degli aventi
teoricamente diritto; ciò esclude i più poveri. E’ un effetto voluto. I
politici statunitensi si lamentano ogni volta della bassa affluenza alle urne,
ma è un fatto che se l’elettorato cominciasse a mostrare una consistente
tendenza a votare in massa allora verrebbero presi altri provvedimenti pratici
aggiuntivi per riportare il corpo elettorale al numero e alla composizione
voluta.
Insomma
anche queste elezioni hanno mostrato che negli USA alla metà e passa della
popolazione, la metà e passa più povera e potenzialmente più desiderosa di
cambiamenti radicali, è di fatto impedito di votare. Per quanto riguarda gli
esclusi dal voto per motivi giudiziari, davvero come dicevo non sono pochi: negli
Usa ci sono circa 3,5 milioni di carcerati e un numero di paroled (agli arresti domiciliari)
calcolato fra i 2,5 e i 4,5 milioni, per un totale che va dai 6 agli 8 milioni
di individui tutti privati per legge del diritto di voto; se si calcolano le
loro famiglie, che seguono normalmente il loro destino, abbiamo quasi 20
milioni di individui ufficialmente esclusi dalla cosa pubblica, quasi 20
milioni di paria.
- Quindi
non c’è solo l’impedimento al voto...
C’è la
preselezione a monte dei partiti. Negli Usa teoricamente ci sono una trentina
di partiti politici, compreso un Communist
Party USA con sede a New York, ma come si sa di fatto alle elezioni
riescono a presentarsi solo e sempre due soli partiti, sempre quelli, il
Democratico e il Repubblicano. E sono le due facce della stessa medaglia, i due
partiti in cui per forza di cose, per dare l’impressione di un minimo di
competizione di idee politiche, è divisa la categoria dei ricchi. Non ci sono
dubbi che il Partito Democratico e il Partito Repubblicano rappresentano
entrambi i ricchi: in queste elezioni il candidato repubblicano era George
Bush, ricco petroliere di famiglia petroliera del Texas, e il candidato
democratico era John Kerry, marito di Teresa Heinz, vedova ed ereditiera del
multimiliardario re dell’aceto (l’aceto Heinz); fra l’altro il defunto era un
Senatore (non sorprende dato che tutti ma proprio tutti i Senatori USA sono
miliardari, come David Rockefeller e Ted Kennedy per fissare le idee). Anche
questo è un effetto voluto: è il frutto dello studiato meccanismo della
presentazione delle liste elettorali dei partiti, che per riuscire devono
impiegare un’organizzazione super consolidata e mezzi economici enormi; non
c’e’ neanche da sperare di vederlo in lizza il Communist Party USA dunque: in
effetti non è nemmeno un vero partitino, ma un ufficio dell’FBI travestito per
schedare i gonzi che si iscrivono (ma oramai non lo fa più nessuno).
- Come giudica la vittoria finale di Bush?
C’è
innanzitutto una considerazione culturale da fare. Una considerazione culturale
e anche morale. La vittoria di Bush avviene nonostante che poco prima delle
elezioni uno studio negli stessi USA avesse rivelato che l’attacco degli USA
all’Iraq iniziato proprio da Bush nel marzo del 2003 aveva provocato almeno
100.000 morti fra gli iracheni, in maggioranza civili, cioè donne, bambini
ecc. Dunque sembra che l’elettorato statunitense abbia condonato a Bush una
carneficina di tali proporzioni, cosa che diventa ancora più disturbante per la
nostra coscienza se si pensa che anche negli USA è noto che l’attacco all’Iraq
è avvenuto senza alcun motivo valido, anzi che è avvenuto per motivi sordidi,
come la rapina del petrolio iracheno e anche la conquista di posizioni avanzate
per compiere ulteriori aggressioni di rapina, magari contro il confinante Iran.
Ebbene sì, l’elettorato statunitense ha proprio condonato tutto ciò a George
Bush; ha detto che a lui elettorato di quei morti non importava niente. E’ una triste
verità e non è una novità. Gli Usa si sono spessissimo resi responsabili di
orrende stragi nel mondo ma l’elettorato statunitense non ha mai battuto
ciglio; così è stato con lo sterminio degli Indiani (nativi americani), con i
bombardamenti di città nella WWII (seconda guerra mondiale), con le atomiche
sul Giappone, con i 4 milioni di vittime civili provocate nella Guerra di
Corea, con i 6 milioni provocati con quella del Vietnam, con i 300.000 della
prima Guerra del Golfo contro l’Iraq voluta da Bush padre, eccetera. In tutti
questi casi l’elettorato americano ha pensato che quelle stragi erano per
conquistare vantaggi per gli USA che si sarebbero tramutati in vantaggi
concreti anche per lui, anche se piccoli: ad esempio, che avrebbe pagato di
meno le banane che doveva importare o ecco, proprio il petrolio. Il problema è
che l’elettorato USA (nel senso dell’elettorato che va a votare) è in grande
maggioranza formato da WASP - White
Anglo Saxon Protestants, cioè anglosassoni bianchi e di religione
protestante - che sono l’etnia dominante, ma che sono anche un’etnia che per le
sue vicende storiche ha finito per assumere delle caratteristiche psicologiche
e culturali preoccupanti, pericolose per il resto dell’umanità: oltre alla
inestinguibile avidità e alla mancanza di altri valori essa infatti evidenzia
una mancanza di sensibilità umana, una callosità, in poche parole una
spietatezza che sgomenta. Questa etnia è un problema per il mondo.
- Quindi qual
è la valutazione politica della conferma di Bush?
E’ molto
semplice. Gli USA (e cioè la loro classe dirigente, il loro establishment
che abbiamo visto essere lo zoccolo duro dell’elettorato guidato dall’elite
degli ultraricchi, che sarebbero fra le altre cose anche gli azionisti di
riferimento delle multinazionali statunitensi sin dalla loro fondazione; ma per
brevità diciamo gli USA) sin dalla loro fondazione hanno sempre perseguito
occultamente lo scopo di dominare il mondo allo scopo di sfruttarlo,
materialmente e anche umanamente; di schiavizzarlo. Però si sono sempre
trovati ad avere a che fare con potenze più forti di loro, per cui hanno sempre
trovato spontaneo fare la parte del Paese democratico e virtuoso che elimina i
suoi avversari per alti motivi morali (abbiamo i vari slogan statunitensi dei
vari periodi di espansione: Autodeterminazione dei popoli, Manifesto Destino,
Fare il mondo sicuro per la democrazia, America arsenale della democrazia,
eccetera). Nel 1989 però è scomparsa l’ultima di queste Potenze più forti e gli
Usa si sono trovati di fronte a una scelta: continuare almeno per qualche
decennio come prima, allargando l’influenza poco alla volta, oppure gettare
decisamente la maschera, mostrarsi per quello che si è, una potenza sanguinaria
e decisa a schiavizzare tutti ad ogni costo, anche con guerre di aperta
aggressione e magari usando le armi atomiche? Dopo alcuni anni di esitazione,
sostanzialmente i primi 6 di Clinton, l’establishment degli Usa - le cui teste
d’uovo sono elementi come Brezinski, Kissinger, Wolfowitz eccetera - ha deciso con
determinazione per la seconda opzione: gettare la maschera, afferrare la frusta
e cominciare a percuotere il pianeta, cominciando dai più deboli. Clinton negli
ultimi due anni fu convinto a questa sterzata dallo scandalo Lewinski. Fu un
modo attraverso cui i veri potenti lo minacciavano: o partiva alla guerra o
sarebbe stato licenziato con l’impeachment.
E Clinton fece la guerra del Kosovo.
- Con
George W. Bush questa strategia va avanti...
Bush
ha dato il via libera all’autoattentato delle Torri gemelle dell’11/9/2001
in base al quale ha avuto una foglia di fico per poter occupare Afghanistan e
Iraq. Ora, rieletto, continuerà sulla stessa strada. C’è solo da chiedersi chi
sarà il prossimo ad essere aggredito, e potrebbe trattarsi dell’Iran per via
del suo petrolio ma soprattutto per sradicare quella rivoluzione Komeinista che
tanto ha colpito gli USA specie nell’orgoglio (l’etnia dominante degli USA è
anche eccezionalmente vendicativa, come già notava nel 1834 Alexis de
Toqueville). C’è solo da dire che per il mondo è molto meglio che ci sia
ancora George W. Bush e non il nuovo Kerry. Bush è brutale e il mondo non
ha dubbi sulle sue intenzioni. Kerry invece - tra l’altro nel classico stile
democratico - sarebbe sicuramente più smaliziato, cercherebbe di coinvolgere di
più diciamo gli alleati (la Nato e altri), e potrebbe ingannare, diciamo,
l’opinione pubblica.