Alla base delle argomentazioni dei più inferociti detrattori dell’Italicum, in particolare di coloro che evocano la minaccia di una “democrazia autoritaria”, c’è un presupposto ricorrente che, forse, sarebbe meglio chiarificare brutalmente: i meccanismi della legge elettorale propugnata da Renzi sarebbero, cioè, stati appositamente calcolati per garantire al premier la vittoria alle prossime elezioni. Nulla di più, nulla di meno.
Il premio di maggioranza per la lista sopra il 40%, i cento capilista bloccati, gli apparentamenti fra i partiti dissuasi, tutto assicurerebbe al leader del maggiore partito italiano, in questo momento il Pd, un’azione di governo pressoché svincolata dalle eventuali insidie poste dal ramo legislativo.
Ora, ammettiamo per ipotesi che costoro abbiano ragione, che Renzi abbia sì pensato a una legge elettorale funzionale alla stabilità dell’esecutivo, ma che, tutto sommato, l’idea di essere il primo a trarne vantaggio non gli dispiaccia. Siamo, però, così sicuri che il presidente del consiglio abbia la vittoria in tasca?
I sondaggi degli ultimi mesi danno il Partito Democratico in flessione rispetto alle europee, intorno al 35%, con un margine comunque ampio e rassicurante sulle opposizioni. Allo stesso tempo, tuttavia, la soglia del 40% è lontana e, a meno di clamorosi ma improbabili colpi elettorali e di ancora più inverosimili miracoli economici, difficilmente sarà di nuovo raggiunta: una clausola inserita nell’Italicum stabilisce, infatti, che la legge entri in vigore non prima del luglio del 2016, e fino ad allora è ragionevole supporre che il lento logorio del potere e gli inevitabili compromessi con gli alleati di governo e con le minoranze interne facciano perdere ulteriori consensi a Renzi piuttosto che farglieli guadagnare.
Eppure il ballottaggio è un terreno di confronto elettorale del tutto diverso da quelli sinora esplorati dai partiti a livello nazionale: in una contesa a due le stime potrebbero inaspettatamente sovvertirsi.
In un clima politico come quello italiano, ormai da vent’anni abituato a polarizzare lo scontro non sul piano delle ideologie (destra contro sinistra) ma su quello della personalità del leader carismatico (berlusconiani contro anti-berlusconiani), è possibile, forse probabile, che il ballottaggio verrà rappresentato in maniera profondamente dicotomica, come una sorta di duello finale fra renziani e anti-renziani.
Il problema di Renzi è che gli anti-renziani sono numericamente superiori ai suoi sostenitori. Certo, sono divisi, ma lo sono fintantoché ciascuno può presentarsi con il simbolo del proprio partito. Al ballottaggio un fronte anti-Renzi composto dagli elettori dei 5 Stelle, della Lega e di Forza Italia, non solo partirebbe in vantaggio ma potrebbe paradossalmente attrarre una parte di quel grande partito italiano spesso trascurato e le cui opinioni sono imponderabili e imprevedibili: il partito dell’astensione.
In questo senso, il Movimento 5 Stelle, vista la sua trasversalità tanto politica quanto generazionale, al ballottaggio costituirebbe l’avversario più pericoloso per Renzi, soprattutto nel caso in cui la campagna elettorale si trasformasse in un referendum confermativo su di lui.
Jacopo Di Miceli
@twitTagli