Sono sempre stata ansiosa, fin da piccola.
Avevo cinque anni la prima volta che mi venne diagnosticato un simpatico dolore psicosomatico che non era spiegabile in nessun altro modo che questo: ansia.
Andavo da mia madre e le chiedevo con aria indagatrice: "Ma tu sei felice? Sicura? Sicura, sicura, sicura?"
Negli anni non sono migliorata, in fondo quando una ci nasce con la smania di fare, aiutare, gestire e soprattutto controllare tutto non si può far molto.
Ho imparato da me stessa che la mia ansia è come un volano e si alimenta della propria forza e frequenza. Se sono stanca, se mi sento sola o semplicemente triste, mi si accende il motore e parto, iniziando a curarmi di faccende che prima consideravo irrisorie o comunque secondarie.
Tipo la mole impressionante di panni da lavare o stendere o piegare. Oppure le piante che non mi danno adeguata soddisfazione. E le tette? Le mie tette che cedono alla forza di gravità? Mia sorella che caspita combinerà? Ed i miei? I miei genitori avranno qualche pensiero che non mi dicono? E l'Amoremio? Perché fa quello sguardo strano? Mi nasconde qualcosa?
Ma soprattutto, 'sta povera creatura della gnocca che si ritrova una madre come me... Sarò in grado?
E allora corri, cerca di far tutto, con una mano stendi i panni, con l'altra giri le pagine di "La favola di mamma pipistrello" mentre rispondi con il controllo vocale ad un messaggio di una amica. Se poi c'è una crisi all'asilo della gnocca di cui sono rappresentante di classe nasce il caos, più o meno come quando riordino i giochi sparsi per casa e mi manca il pezzo giallo della torre dell'Ikea.
E l'Amoremio mi dice che faccio troppo, che voglio metter mano a tutto ed ha ragione.
Forse.
Ma posso farne a meno? O meglio, ci riesco?
Poi leggo un articolo sull'Internazionale che parla proprio di questo: fare meno.
Fare meno.
Concedere a chi sta vicino di fare un passo verso di noi.
Fare meno: perdonarsi e accettare che il mondo vada a rotoli senza il nostro controllo. Ma anche no, forse. Che se non andasse a rotoli, sarebbe un bello smacco.
O una consolazione?