Macerarsi, una guida pratica

Da Julesdufresne

1) Innanzitutto, assicuratevi di essere brutti, veramente brutti. In generale – nascendo l’avvenenza da un’incessante processo di arginamento della cessitudine prorompente – non è un risultato difficile ad ottenersi, basta saltare a piè pari le abluzioni mattutine ed astenersi dalle pratiche di subdolo miglioramento della propria immagine a cui, in condizioni normali, non rinuncereste nemmeno se stesse entrando del fumo da sotto la porta. Mascara, pancera o body painting, fa lo stesso, per oggi lasciate perdere. Se siete belli di vostro e la mattina vi alzate con l’alito che sa di gigli, fate il favore di levarvi dalle palle, qui non è cosa per voi. Amici sgradevoli, andiamo avanti.

2) Puzzate? Ok. Non è ancora abbastanza. Potrebbe darsi che il vostro abbigliamento pre-maceramento si riveli, per puro caso, quasi generoso nei vostri confronti. Magari la maglia di una ditta di caldaie di Rimini con la quale dormite abitualmente vi sta in un certo senso benino – non è quello che vogliamo oggi. Accessoriate in maniera adeguata il pigiama, preferibilmente con un paio di goffi calzini sportivi alla caviglia. Infagottatevi. Inforcate quegli occhiali grossi  che vi fan sembrare Kissinger, avendo cura di spargere ditate nei pressi dei naselli. Se avete un fermacapelli di Minni, è il momento di sfoggiarlo. Se avete la frangia, valutate razionalmente se convenga tirarla indietro con quella bruttissima molletta glitterata o lasciare che penzoli unticcia nei pressi delle sopracciglia (al cui colore non si intona affatto, scoprirete compiaciute, e comunque pettinate così sembrate proprio Nino d’Angelo). Se siete uomini, l’occasione è propizia per riesumare quella maglia degli Iron Maiden che mettevate sempre al liceo e che adesso tira da matti sulla pancia e ha un’ascella scucita. Sudate.

3) Adesso è il momento di trovare una posizione adeguata. Potreste andare sul classico, piazzandovi seduti in una qualche maniera che vi faccia addormentare le gambe nel giro di dieci minuti, così da sfruttare a pieno la paranoia da decadimento fisico imminente (io sto qui a piangere, e il mio culo è sempre più molliccio buu-uuh). Potreste raggomitolarvi sul divano, secondo la più immortale iconografia della disperazione lagnosa. Oppure potreste metterci del vostro, sfruttando una qualche particolarità fisica per amplificare al massimo gli effetti della sessione di maceramento: provate a sdraiarvi a faccia in giù sul letto con il naso tutto stropicciato da una parte, per esempio. I risultati potrebbero sorprendervi.

5) Ora, naturalmente, colonna sonora. Penserete mica di potervi straziare in silenzio? Ecco. Allora, premesso che in caso di necessità tutto fa brodo, tentare di farsi del male con Sister Morphine, I Hope That I Don’t Fall In Love With You o Canzone dell’amore perduto implica una certa dose di compiaciuta ricercatezza che mal si concilia con lo scopo ultimo della nostra guida odierna. Meglio evitare il rischio di risollevarsi, anche solo per un attimo, crogiolandosi nella superiorità rispetto a chi si stordisce ascoltando i Modà. Tenetevi comunque sul classico/vagamente vintage, per sfruttare al meglio la carica di potenziale lacrimoso-nostalgico*.  In alternativa, puntate su una brutta cover pretenziosa di una canzone molto bella – per cominciare, Mad World nella versione di Gary Jules.

6) Ecco che arriva il bello: maceratevi. Non dovrei essere io a spiegarvi come si fa, immagino che sappiate tutti come ritornare ossessivamente a pensare ad una persona, sorvolandone il ricordo in cerchi sempre più stretti fino a ritrovarsi in un loop demenziale di frammenti avulsi assurti a metafore improbabili di lunghe relazioni (lui che si alza e va un momento a  fare pipì… lui che si alza e va un momento a fare pipì… lui che si alza e va un momento a fare pipì… e non torna). Certo, se quello che avvertite è un bisogno di maceramento che non potete giustificare in maniera plausibile con nessuna circostanza presente, forse vi servirà un piccolo sforzo di fantasia.

7) Dite che proprio non siete riusciti a trovare una ragione purché sia per legittimare il vostro piangervi addosso? Niente paura. Esistono i ricordi, no? Se siete vivi da abbastanza tempo da essere in grado di leggere queste mie righe, sicuramente avrete almeno un paio di episodi agghiaccianti da usare per quando la voglia di abbracciare se stessi in un turbine di auto-compatimento vi assale prepotente. Eccovi, a puro titolo d’esempio, una compilation dei miei preferiti, di quelli che a ripensarci a distanza di anni ancora muoio un po’ dentro come se fosse la prima volta:

- quella volta che eravamo sul pullman della gita alle elementari e la mia vicina di sedile mi ha vomitato addosso. Ed era l’andata.

- quella volta che ci hanno costretti ad esibirci in un karaoke scolastico e io sono rimasta muta ed impalata di fronte ad un paio di centinaia di persone, il silenzio rotto soltanto dalla versione MIDI di un pezzo minore di Max Pezzali.

- quella volta a quindici anni che sono silenziosamente e, nella mia testa, segretamente morta dietro per mesi ad un tizio, e quando poi ho trovato il coraggio di andarci a parlare a quattr’occhi e dirgli tu mi piaci da morire  lui mi ha risposto sì, lo sapevo, grazie.

Have gloom!

* Quando poi vi siete ripresi, procuratevi questo libro qua, che fa ridere tantissimo.



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