
Anacoreta (1930) Albano Vitturi
L’influenza mi ha dato un brutto colpo, penso, mentre mi aggiro nelle macerie della microcasa la cui aria è stantia di sentori medicinali, di sudore, di Zerinol, di minestrine. Tre giorni pieni a distillare il febbrone a 39 e un quarto passato a rasparmi i bronchi con la tosse secca e una sinusite trapanante, guardando con l’occhio semichiuso la parete bianca di fronte al letto. Spero che il decubito sia terminato perché il cervello minaccia laboriosamente di andare in pappa, esattamente come l’hard disk perennemente surriscaldato di questo portatile vintage che ho comprato nel Mid-West in tempi non sospetti.
Mentre raggrumo i resti delle mie sporadiche facoltà mentali, cerco di riprendere un contatto con il sempre più orrido mondo esterno. Zingari bruciati, manifestazioni di ipocrita indignazione alemagnesca miste a maiolesche e molto più veraci comparazioni con i cani (e tutte a sfavore dei Rom ovviamente). La Maiolo, una che è passata da Rifondazione a Forza Italia a Fli rimanendo sempre coerentemente aggressivamente ottusa, quasi un’icona di questo paese super-post-populista in cui ogni affermazione pubblica può essere rivoltata come una frittata e usata da qualunque parte dello schieramento politico.
Questa caduta dell’Impero di Sardanapalo non è fiammeggiante come dovrebbe, ma anzi poltigliosa e gorgogliante, la mummia del Faraone, mal imbalsamata, appuzza con i suoi miasmi la cima delle piramidi e se mai venissero dal deserto alle nostre porte dei tartari inferociti animati da intenzioni di conquista sono quasi sicuro che fuggirebbero al solo pensiero di doversi immischiare con tale farsesca stagnazione.
Ma io devo pur sempre andare avanti con lo show, come mi segnalano le ossa. Devo cambiare posizione perché i lombi dolgono. Devo ricominciare a nutrirmi di bistecche e non di pappette. La vita preme e fortunatamente non tende ad imitare l’imbolsita Patria. Seguirò la voce del sangue nei prossimi giorni e mi ritroverete mentre faccio un giro per qualche piazza serale, giusto per vedere il colore del tramonto che sparisce lentamente sulle cupole delle chiese.
