Nessuno ha capito ai suoi tempi Niccolò Machiavelli, salvo Francesco Guicciardini.
Francesco Guicciardini è il suo eguale, il suo emulo, il suo compagno e direi un gemello, se non avesse avuto quattordici anni di meno. Poca cosa: ma quei quattordici anni sono come quei pochi metri di salita e di discesa che vi portano da un versante all'altro e bastano per cambiare tutto il panorama....
Machiavelli arrivò presso alla cima e cadde: prima di vedere l'altro versante. Guicciardini cominciò quasi quando l'altro versante si vedeva in pieno.
Machiavelli poteva sperare, poetare, vaticinare. Gli era ancora permesso credere nell'unità d'Italia, lavorare per una milizia nazionale, attendere il Principe metà volpe e metà leone che venisse per imporre la pace tra le sètte e liberare l'Italia dai Barbari.
Guicciardini non lo poteva più perché quattordici anni dopo l'abbrivio era dato alla rovina completa, e l'Italia correva giù per la china della perdizione.
Machiavelli e Guicciardini parlano lo stesso linguaggio, hanno le stesse idee, invocano gli stessi ideali, considerano le faccende politiche nel medesimo modo dismagato e lo pesano con la stessa bilancia dell'effettualità. Ma il tono è differente.
Senti nel Machiavelli la giovinezza che sogna, nel Guicciardini la vecchiaia che ha rinunziato e che, piena di sazietà e tristezza, guarda con pietà e distacco le cose del mondo.
(Giuseppe Prezzolini, Vita di Niccolò Machiavelli fiorentino, Rusconi)