Può un film risultare divertente (non molto, ma almeno abbastanza, almeno a tratti) e contemporaneamente candidarsi al titolo di “pellicola più indegna” della stagione? Se ve lo state chiedendo, sì, la domanda è retorica, e la risposta alla domanda, ahinoi, di nuovo affermativa: sì, è possibile, e questo Madagascar 3 ce lo conferma, nonostante in lizza per il podio vi siano tanti 'bruttissimi' ben più meritevoli, autentiche schifezze tra le quali ci piace ricordare My week with Marilyn e To Rome with love (ma che ne hai fatto tu, canuto-minuto-occhialuto newyorkese logorroico, di quel genio canuto-minuto-occhialuto e logorroico che è, o in ogni caso era, Woody Allen??).
Ma indegno perchè? Lasciate che vi racconti una storiella. Tutto comincia nel 1995, data storica per la moderna cinematografia d'animazione, in cui il tramonto del passato apparecchia l'alba di una nuova, incredibile era. Escono quell'anno nelle sale due film. Il primo, Pocahontas, è un drammone sul senso di colpa della coscienza occidentale post-colonialista, condito da musiche francamente improponibili, nonché canto del cigno di un periodo dorato per la Disneyche, dopo lo straordinario successo del Re leone e decenni di incontrastata sovranità, chiude non solo il cerchio della vita, come ulula Ivana Spagna, ma un fortunato ciclo produttivo iniziato nell'89 con La sirenetta. Il colosso si avvia lungo un viale del tramonto dal quale si riavrà solo in tempi recenti (nel 2006, e a breve scoprirete perchè). Sempre nel '95 esce Toy Story, il primo lungometraggio della Pixar, alias legittimo erede al trono vacante, e capostipite di una nidiata di pellicole realizzate completamente in computer grafica, che da quel momento invaderanno gli schermi. Ma nell'avvicendamento Disney-Pixar, non bisogna pensare ad una rottura. Piuttosto, ad un passaggio di testimone concertato ed economicamente fruttuoso per entrambi (la casa di Topolino diventa infatti co-produttore della concorrente).
Il logo della Pixar
E da dove viene la nuova testa coronata? Lo studio nasce come divisione della LucasFilm. Nella galassia lontana lontana di Guerre stellari, gli effetti speciali attraversano il loro Medioevo: modellini d'astronave, truppe di robottoni d'assalto e ninja verdi dal linguaggio sibillino sono quanto di più distante si possa immaginare dalle magie del digitale e della motion capture, ma, all'epoca, bastano e avanzano per saziare la fame di favoloso degli spettatori. Presto, giunge da Cupertino un cavaliere destinato a grandi imprese, di nome Steve Jobs. Compra la Pixar, trasferendola nella sua valle di silicone e mele morsicate, e laggiù tutto cambia. Un inventore fantasioso, tale John Lasseter, posando un giorno lo sguardo sulla lampada appoggiata alla scrivania esclama, d'un tratto: Eureka! Aveva trovato una luce, e quella luce sarebbe diventata un faro, a illuminare il cammino di molti (vedi l'immagine). Molti anni dopo, nel 2006, la Pixar, divenuta regina indiscussa della Cgi, deciderà di unire le forze con la veterana Disney. Continuerà a firmare una serie dietro l'altra di capolavori (Up, Wall-E e Ratatouille sono i preferiti della sottoscritta), alzando sempre più l'asticella della qualità e introducendo una nuova forma di film d'animazione, edificata su molteplici strati di significato che fungono da calamita, oltre che per i più piccoli, anche per gli adulti. In una parola, un approccio narrativo, tematico e stilistico, pregiato e intelligente.Una specie di rivoluzione copernicana a scala ridotta che, tuttavia, rischia di esser vanificata da film mediocri come questo Madagascar 3, sequel di una saga che aveva già detto tutto quel che doveva (non che poi si trattasse di chissà quali rivelazioni) sin dal suo primo capitolo, e che non avrebbe altro motivo d'esser resuscitata per la terza volta, se non per ragioni di portafoglio. Ecco perchè "indegno". Il bestiario assortito di leoni, zebre, giraffe, ippopotami e pinguini messo insieme dalla Dreamworks (che pure, lo ricordiamo, con i due Kung fu panda e Dragon trainer ha dimostrato di saperci fare eccome, quando impegna la creatività oltre che il borsello), strappa certo le sue risate, ma è una comicità all'insegna del trash più becero, con un copione frenetico che sembra non capire l'elementare differenza tra ritmo e chiasso, e con trovate visive, in primis quella dello show circense, che fanno schizzare i livelli di "kitsch-emia" ben al di sopra dei limiti consentiti. I momenti più felici si devono all'affaire sentimentale, assolutamente surreale, tra re Julien e un'orrenda orsa in tutù rosa e biciclettina, oltre che alla new entry Chantel DuBois, la cattivissima acchiappa-animali, un po' Matrix un po' Crudelia De Mon un po' segugio dal fiuto infallibile, e al suo assolo canoro sulle note di Non, je ne regrette rien. Per il resto, i personaggi sono piatti come tavole. Ce ne fosse uno che riesca a dare un po' di profondità alla propria desolante bidimensionalità psicologica. La morale latita sotto il fracasso dell'azione, privilegiando il momento ludico a quello educativo, che pure dovrebbero convivere in un film per bambini. Infine, la trama è parecchio inconcludente: i quattro evasi dallo zoo di New York progettano di tornare dietro le rassicuranti sbarre della Grande Mela, in una sorta di curioso mal d'Africa al contrario, salvo poi venir sballottati dagli eventi su e giù per l'Europa. Insomma, dopo l'America, il continente nero e un'incursione in Antartide, temiamo per il futuro. Pur di lucrare fino all'ultimo centesimo, viene il sospetto che la Dreamworks sia disposta a sbarcare il quartetto un po' ovunque. Anche a casa vostra, se non state attenti.