Mi sono persa nel bosco, ma mantengo la mia compostezza.
E non è nemmeno vero che mi sia persa; casomai mi sono ritrovata, in questo bosco dove comunque è impossibile perdersi. Qui gli alberi non sono sbarre opprimenti di prigione, né inciampi sotto le zampe del mio cavallo, bensì tenui trasparenze che accolgono il nostro passaggio e si fondono con le nostre forme in un unico fluire come di risacca. La natura ci accarezza sotto le nostre carezze, diventiamo esili tronchi noi stessi che si ricompongono subito dopo il nostro passaggio, mentre noi filtriamo in foglie, in cielo, in nebbiolina. È un trapasso senza ferite né cicatrici, uno scambio di dolci sfioramenti e abbandoni. Ci diamo e ci trasformiamo come le sfumature dell’acqua in una laguna tranquilla. Transitiamo in un sistema di vasi comunicanti che nulla perdono e tutto rispettano. Attimi di lunare pienezza nel vivo di giornate cruente fra le mura troppo ornate di una casa troppo grande, troppo fastosa, troppo invadente. Attimi quasi di apnea come di pesci a pelo d’acqua. Si potrebbe sentire il vecchio fruscio della Terra che gira su se stessa e regola gli orologi degli uomini, togliendo il sonno a quelli che puntano tutto sul futuro dimenticando di dissetarsi.
Tra poco tornerò, tornerò al mio posto fra i candelabri, le tappezzerie, i domestici, il grammofono che starà suonando qualcosa di Stravinskij, gli specchi e gli armadi e le fatuità da salotto, la poltrona e il cognac di mio marito, e poi ancora lui, stasera, a bussare alla mia porta. Lui che non sa, non immagina, non può nemmeno concepire che le cose possano essere molto, oh molto diverse da ciò che sembrano.
nell’immagine: René Magritte, Le blanc-seing, 1965