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Maddalena Capalbi: Non voglio più essere tuo nutrimento

Da Narcyso
Maddalena Capalbi: Non voglio più essere tuo nutrimento

Agata, Maria Goretti, Agnese di Roma, Maria Egiziaca, Ildegonda, Barbara, Irene di Portogallo, Sarita Colonia Zambrano, Caterina da Genova, Fina, Chiara, Maria Maddalena, Maria di Magdala, Ugolina da Vercelli, Francesca Romana, Teresa d'Avila, Rosa da Lima, Rosalia, Fabiola, Lucia di Siracusa, Giustina, Zoe...sono le donne molte delle quali i maschi hanno punito "flagellando la volontà col mistero".
Ognuna ha ricevuto una sua personale condanna che, in fondo, è lo specchio del ritratto dell'aguzzino, un modo di immaginare il peccato nella sua stessa anima: chi uccide pecca due volte, per sé e per l'altro.
C'è anche un surpluss di crudeltà in questi gesti; perché il corpo della donna, come quello dei bambini o dei vecchi - non è un caso che siano proprio loro ad essere preservati nei momenti di terrore - sono terreno di sperpero, di pioggia devastante: "cagna sudicia". E non è vero che "siamo tutti crudeli". È vero, invece, che "la storia è un duello / non c'è morale / senza coraggio né pietà".
L'assassinio della donna, dunque, è uno sperpero, perché non prevede resistenza e il corpo è come dato in pasto per eccesso.
Questi assassini, insomma, distruggono "il sogno della vita" ma paradossalmente realizzano la santità della vittima, la rendono innocente per sempre.

La voce cantilenante di tua madre
richiama quel male che corrode il corpo
che hai svuotato per apparire immortale
e garantirti un posto in prima fila.

Gli occhi sono pronti per un amore nascosto
che fino alla morte, sarà un sacramento.
Creatura! Punti al chiodo che trafigge
il cuore
estrema sventura

ti hanno imprigionata
tra le pagine
come una farfalla viva,
viole profumate tradiscono.

p. 31

Entra in gioco in questo progetto, non l'assenza di un dio che, invece, ha bisogno del sacrificio di cui nutrirsi, ma l'eccesso dell'azione, del titanismo che ci condanna a un essere oltre, essere altri.
Non so se il libro descriva delle cronache, dei sopprusi, oppure dei gesti rituali, utili all'assurdità del male e del dolore.

Sebastiano Aglieco

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