Ha una brutta tosse, la mia mamma, e il medico le ha diagnosticato una bronchite che per lei, quasi novantenne, non è certo una passeggiata.
I suoi occhi, che ormai non vedono più da tanti anni, sembrano cercarmi, con lo sguardo che non è più uno sguardo segue la mia voce, un po’ spaventata, un po’ intimidita.
Le prendo la mano, che trema piccolissima nella mia, la stringo con delicatezza e intanto le accarezzo i capelli e lei sembra tranquillizzarsi almeno un po’.
E mi vengono in mente le volte, le infinite volte, in cui mi è stata vicina quando ero una bambina delicata, quando l’ago di una siringa mi faceva paura, o mi spaventava persino il camice di un medico e lei era sempre lì, pronta a rassicurarmi con un sorriso, pronta a donarmi un po’ della sua forza e del suo coraggio che, solo ora lo capisco, forse erano più simulati che reali, ma allora ci credevo e mi tranquillizzavano.
Ora è lei ad avere bisogno di me ed io, in questo gioco dei ruoli a parti invertite, io dovrei avere la forza e il coraggio di una madre, ma sono ancora e sempre una figlia, una figlia grande, certo, ma pur sempre una figlia.