Maelstrom-On The Gulf, di Gianni Sapia

Creato il 30 luglio 2013 da Athos Enrile @AthosEnrile1
Come un Indiana Jones della musica, la genovese Black Widow scava i terreni che hanno visto protagonisti tra gli altri Genesis, Gentle Giant, Van Der Graaf  Generator e Soft Machine e scova reperti a cui solo oggi si cerca di attribuire il valore che meritano. Dall’inesauribile miniera del progressive dei ’70 vengono dissotterrati e portati alla luce monili e gioielli di cui si era persa memoria, fino addirittura ad ignorarne l’esistenza. Ma non è mai troppo tardi per porre rimedio agli errori del passato. Perlomeno non in questo caso. Con la stessa perizia con cui due amanti di lungo corso sfiorano ed accarezzano i loro corpi, solleticandone le parti più sensibili, il marchio genovese offre agli appassionati del genere i Maelstrom, con l’album ora omonimo, ma che nel ’73, quando fu registrato, sarebbe dovuto uscire sotto il titolo On The Gulf. Sarebbe, già. Perché non vide la luce fino agli anni ’90, quando una label privata ne pubblicò una versione in CD, naturalmente introvabile. Resta un mistero sul perché un lavoro come questo non abbia mai avuto i giusti riconoscimenti. Ma il mistero altro non è che un amplificatore del fascino, dove già l’oggetto del mistero sia di per sé affascinante. E in questo lavoro di fascino ce n’è, ce n’è un bel po’. Con i Maelstrom l’America ha un’impennata d’orgoglio e rivela al mondo come quel tipo di progressive così sofisticato non fosse un’esclusiva dei cugini inglesi, ma si poteva fare anche nel Nuovo Mondo, magari insaporendolo con qualche spezia locale, tipo il jazz. Il nome maelstrom poi è stato ripreso da un’infinità di altre band, soprattutto nel metal, ma chissà, forse loro sono stati i primi, gli originali. Un mio pensiero romantico. L’album presenta dieci tracce, di cui le prime otto registrate appunto nel ’73 a Fort Walton Beach, Florida, mentre le ultime due furono registrate dal vivo nel 1980 in occasione de The Three Rivers Festival a Fort Wayne, Indiana. La prima line up era formata da Roberts Owen (chitarra acustica, sassofono, piano, mellotron e voce), James Larner (flauto, vibrafono, marimba, piano, armonica), Paul Klotzbier (basso), Mark Knox (organo Hammond, mellotron, clavicembalo), Jim Miller (batteria e percussioni) e Jeff McMullen (voce solista, chitarra elettrica), mentre nei due brani live, della formazione originale troviamo i soli Owen e Klotzbier accompagnati da Rollin Wood (batteria) e D. Kent Overholser (organo Hammond, mellotron, synth). Un album affascinante dicevo, fin dal primo pezzo, Ceres, dal carattere dolce e favoleggiante, dai cambi di ritmo indolori, quasi sfumati, che a circa metà percorso immerge l’ascoltatore in un’atmosfera più cupa e riflessiva, salvo poi indirizzarsi, dopo un ponte “organico”, verso una fuga liturgico-ecclesiastica. Le influenze jazz sono ben riconoscibili nell’incipit di In Memory e questa febbre accompagnerà tutto il brano, condito da intermezzi comici e da innesti sonori di ogni sorta che ne fanno un vero momento surreale. The Balloonist entra subito nel vivo e non ne esce più. Vivo e vibrante fino alla fine, anche quando sembra che i toni vogliano abbassarsi. Si dà un po’ di tregua apparente nella parte vocale, ma la frenesia che lo contraddistingue resta latente senza mai scomparire del tutto. Il classicismo di Alien, pur nella sua brevità, lascia in chi ascolta un gusto di buono, di dolce. È un morso ad un frutto maturo. Il brano seguente, Chronicles, segue il cammino tracciato dal brano precedente, ma si trasforma ben presto in qualcosa di più articolato, più acido, caratterizzato dalla smania del sassofono. Law and Crime è il pezzo più pop, quello di più facile ascolto, godibile nel suo contesto. Una sorta di pausa caffè durante un brainstorming. Il momento di riposo, o forse sarebbe meglio dire di riflessione, prosegue con Nature Abounds. Un brano bucolico che serve da apripista per Below The Line, pezzo dal sapore pinkfloydiano. Una ballata di carattere, che non conosce cali di tensione, il cui crescendo finale dà ulteriore vigore ad una personalità ben marcata. È un viso con gli zigomi alti, la mascella squadrata e lo sguardo fiero. Anche qui, come in quasi tutto l’album, si passa dal bosco delle streghe al bosco delle fate continuamente, senza interruzione. E siamo ai due live, Opus None e Genesis To Geneva, due brani strumentali in cui è evidente che la sperimentazione si è impadronita della creatività della band. Un esercizio di tecnica strumentale che però non risulta essere fine a se stesso, ma lascia chiaro in mente il disagio, il disappunto, per quello che poteva essere e non è stato, per quanto i Maelstrom avrebbero potuto e probabilmente voluto regalare all’appassionato pubblico del progressive-rock, ma che non hanno potuto farlo perché … perché … perché?!? Probabilmente non lo sapremo mai, ma per fortuna c’è la Black Widow Records che scava, setaccia, spolvera e lucida i tesori nascosti che il tempo ci nasconde, sia che si tratti di passato, sia che si tratti di futuro. Finché esisteranno persone come quelle che danno vita al marchio ligure, beh, allora tutto può succedere, anche che un piccolo gioiello dimenticato come Maelstrom venga riproposto a buongustai la cui fame di buono non è mai sazia. Fortuna e gloria Black Widow Records.

Track List:
Ceres (Roberts Owen)   In Memory (Mark Knox)    The Balloonist (Roberts Owen)    Alien (Jeff McCulllen) Chronicles (James Larner)   Law and Crime (Roberts Owen)    Nature Abounds (James Larner)    Below The Line (Roberts Owen)   Opus None (Roberts Owen)    Genesis to Geneva (D. Kent Overholser)

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