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Si chiamava Eugenia, da “eughenès”, vocabolo greco che significa “di buona stirpe”. E in verità, Eugenia era una nobile signora, nubile. Non si volle sposare, forse perché, essendo un chimico, aveva troppo da fare per capire la legge che “sposa” l'idrogeno all'ossigeno “senza farli scoppiare”. Eugenia era alta e slanciata; incedeva con lenta sprezzatura, posando lo sguardo glaciale e penetrante sulla realtà circostante. Sorrideva, ma più spesso beffardamente, dall'alto della sua sapienza magica, mentre penetrava i recessi della materia con con la forza acuminata e magnetica dei suoi occhi azzurri. Ma quegli stessi occhi sfavillavano d'amore quando, scomponendo la materia nei suoi elementi essenziali, intuivano gli atomi fino alle particelle subatomiche, fino al volteggiare invisibile degli elettroni nei loro orbitali. Lei stessa, in quei momenti, diventava un fascio di invisibile ma potente energia, beata della sua “materia”. - Quanto è pregnante e colmo di affetti questo vocabolo, che ha l'etimologia nel latino “mater” (madre), e che oggi è perlopiù sostituito dall'astratto e asettico “disciplina”! - La chimica, per Eugenia, era la scienza di esplorare la realtà prima: a questa scienza lei voleva sedurre i suoi studenti, per iniziarli alla conoscenza dei misteri della “natura delle cose”.
C'è una terzina della Divina Commedia che racconta visibilmente l'ardore della conoscenza. In tre versi viviamo l'esperienza del pellegrino Dante quando, guidato da Virgilio, arriva sul ciglio della valle infernale brulicante delle fiamme dei fraudolenti, tra i quali incontrerà Ulisse:
Io stava sovra ’l ponte a veder surto,
sì che s’io non avessi un ronchion preso,
caduto sarei giù senz’esser urto. (Inferno, vv. 43-45 ) Il poeta si è levato su un ponte a guardare in fondo al burrone in maniera tale che, se non si fosse afferrato alla sporgenza di una roccia, sarebbe finito di sotto senza esservi spinto da nessuno.
Così viene rappresentata l'emozione della curiosità di osservare quelle fiamme e di scoprirne il misterioso “furto”. C'è una sorprendente corrispondenza tra le fiamme disseminate nella valle infernale e il fuoco del desiderio che muove il pellegrino a sporgersi verso l’oggetto da conoscere, nonostante il pericolo di precipitare nel vuoto. Con questo stesso ardore Eugenia desiderava guidare gli studenti a capire la chimica. Aveva lei, inoltre, una inaspettata passione per certe parole della filosofia. Ogni tanto, infatti, sorridendo, chiedeva agli scolari se conoscessero il significato di “trascendente” e di “trascendentale”, forse perché sentiva che con la sua “materia” si poteva esplorare la materia dell'universo, fino ad intuire nei “semina rerum” (semi delle cose) il principio trascendente dell'antimateria.
Se provo ad immaginarmi Eugenia nella scuola di oggi, la scorgo beffarda più che mai nei suoi occhi azzurri. Poserebbe quello sguardo sprezzante sui test e le griglie di valutazione. Passerebbe con distacco disgustato oltre tutte le pratiche e le ingerenze invasive di esperti di vario genere, i quali, oggi, mortificano la scuola e, a poco a poco, la distruggono. Riderebbe amaramente, Eugenia, di quei politici ignoranti e dei sindacati che hanno svenduto la scuola al mercato.
Non posso fare a meno di pensare a Eugenia in questo tempo di crisi!
Non la crisi mi angustia, ma l'assenza di discernimento che avverto intorno a me. Mi sembra paradossale il fatto che, mentre domina ovunque la parola chiave “progetto”, si proceda invece alla cieca, riducendo ogni cosa all'elencazione di cifre insignificanti collegate a sigle oscure. Ogni questione umana è ridotta ad un numero. Conti aridi che non tengono conto della umanità! Elenchi di sfaceli! Rivendicazioni numeriche! E slogan obsoleti e insensati! La “civitas” è disgregata, la solidarietà tirata di qua e di là come simbolo da sbandierare. La corruzione è messa in vetrina per audience. Persino le tragedie umane diventano un'occasione truculenta di teatro per i buoni e per i cattivi.
Forse è tempo di tornare a “madre terra” e a considerare che è lei che “ci alimenta e ci sostiene coi suoi frutti, i fiori e l'erba”. È tempo di ricostruire un consesso umano di narrazioni naturali di esperienze; è tempo di baratto di cose buone in uno scambio libero dall'ossessione del profitto.
Ed è tempo, finalmente, di tornare a considerare gli insegnanti come Maestri, come Virgilio e Beatrice, amanti - mediatori della conoscenza.
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