Tutto in famiglia per i Maestus di Eugene, Oregon. I fratelli Kenneth e Stephen Parker sono l’anima del gruppo dal punto di vista compositivo, col primo che è anche il boss della Glossolalia, l’etichetta che ha fatto uscire questo cd in trecento copie. È un disco lunghissimo, tra l’altro, quasi 75 minuti che, onestamente, ho fatto fatica a digerire come unico pasto. Ci muoviamo in quei territori che qualcuno definisce post-black metal, quella roba, insomma, che chi viene dalla sponda metal del black odia, mentre chi ha un retroterra più postcore adora. Il primo tipo di persona lamenta lo scippo di una particolare estetica musicale e il suo annacquamento concettuale, il secondo magari non ha mai ascoltato i Bathory, ma se ne frega e suona comunque. È vero che la cultura è una stratificazione continua di significati ed è un dato di fatto che la pizza sia ormai un patrimonio non solo italiano, ma mondiale nelle sue mille ibridazioni, e che ai pizzaioli polacchi non interessi particolarmente farsi degli stage a Napoli. Però… vi è mai capitato di lamentarvi della qualità della pizza all’estero? Ecco, in caso affermativo potrete in parte capire le ragioni dei black metaller integralisti. I Maestus sono tendenzialmente lenti, anche molto lenti, ma anche molto prolissi, ad armonie e latrati tipicamente black associano parti acustiche, atmosferiche, voci pulite e qualche sparuta sfuriata ritmica. Le idee non sono male, ma sono talmente dilatate che i pezzi diventano lunghi e, francamente, un po’ noiosi. A volte i Maestus intraprendono strade che possono ricordare le atmosfere dei Mournful Congregation, senza però essere altrettanto drammatici, piuttosto, al contrario, quasi “celestiali” con quelle armonizzazioni di chitarra e dunque innocui alle mie orecchie. Non so, quando sento i Maestus parlare di rugiada a me viene in mente Memole dolce Memole, non una landa desolata di permafrost dove scorrazzano fieri lupi affamati. Mi rendo conto che chi sbava per i Celeste troverà i Maestus interessanti, per me, però, è come mangiare una quattro formaggi con l’ananas…
Insomma, se oltrefrontiera tendete ad evitare le pizzerie, sapete già cosa fare di questo disco.
Share on Tumblremailprint