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Mafia 2.0

Creato il 03 ottobre 2011 da Abattoir

Di Rosita Baiamonte

Come spesso mi capita, sto rileggendo per l’ennesima volta un libro importante, uno di quelli che non si leggono perché non si ha altro da fare: “Cose di Cosa Nostra”, di Marcelle Padovani, basato su una serie di interviste a Giovanni Falcone, appena un anno prima della sua morte, quando era già agli affari penali a Roma.
Un libro illuminante, che scopre il velo dell’omertà che fino a quel momento opprimeva tutto ciò che riguardava la mafia. Quello che emerge senza alcun ombra di dubbio è che la mafia è capace di rigenerarsi continuamente, non smette di crescere, è come un lievito madre, basta aggiungere del nuovo impasto per vivificarlo e, pensate, può durare anche centinaia di anni. Basta averne cura. E la mafia ha sempre cura di se stessa, sa quando fermarsi, quando “fare scruscio”, ma non è sconfitta, anzi più è silente più è difficile stanarla e più è difficile combatterla.

Che ne è della lotta alla mafia oggi? A che punto sono le indagini? Perché lo Stato ci prende in giro facendoci credere che il fatto di aver catturato un Provenzano o un Lo Piccolo possa in qualche modo confortarci circa la sua effettiva sconfitta o, quanto meno, indebolimento. Noi siamo siciliani e non ci illudiamo: un capo viene catturato quando perde potere, quando non ha più il controllo del territorio; è un nuovo modo di uccidere, viene semplicemente consegnato alla “giustizia”, acquisendo un guadagno bilaterale: da un lato la mafia perde “pezzi vecchi” senza sporcarsi le mani, dall’altro lo Stato può esibire gli scalpi e farci credere che la lotta alla mafia è più viva che mai. Illusioni. Solo illusioni.

È vero quanto diceva Falcone: “la mafia è un fatto umano, e come tutti i fatti umani ha un inizio, uno svolgimento e una fine”. Ma francamente non mi sento di credere che la fine sia vicina, forse perché vivo in un ambiente che sembra rimasto a cinquant’anni fa, pregno di quella cultura mafiosa che è inscindibile dalla natura stessa dei siciliani.

Dicevamo della lotta alla mafia.
Secondo il pm Ingroia, il problema fondamentale è la connivenza con la politica. È passato il tempo dei mafiosi con la coppola, adesso i mafiosi stanno nei palazzi e addirittura al governo, proprio in questi giorni è stata votata una mozione di sfiducia per il ministro Romani indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, l’ex presidente della regione Salvatore Cuffaro ha smesso di mangiare cannoli e adesso fa il coltivatore in quel dell’Ucciardone e, ancora, il grande bibliografo Marcello Dell’Utri, colui che ha avuto il lampo di genio di ficcare Berlusconi in politica pur di salvaguardarlo da quei bruti dei magistrati, ora attende paziente – con una di quella pazienza che solo i bibliografi sanno avere – che Berlusconi tolga di mezzo lo stato di diritto e fondi un bel regime di dittatura dove tutti possono far tutto, senza vincoli di sorta (e ci siamo già!). Fili che collegano altri fili. D’altra parte, Cosa Nostra non può fare a meno di un rapporto con la società esterna e quindi anche con il mondo della politica.

Quindi, siamo davvero di fronte alla parabola discendente della mafia?
Ma neanche per sogno, la tregua dura da troppi anni, il patto Stato-mafia è qualcosa più che tangibile; ma a una tregua, per definzione, segue sempre uno stravolgimento. La strategia del silenzio sta dando i suoi frutti e la mafia è più potente che mai, questo è un fatto inoppugnabile. Tuttavia, la speranza di una Sicilia libera e lontana “dal puzzo del compromesso” (P. Borsellino) è l’unica cosa che mi spinge ad amare ancora la mia terra, nonostante tutto.


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