Di ANTONìN KOSìK
Morale individuale o il mondo muto
Per la prima volta, verso la fine della prima metà del secolo scorso, gli “uomini d’onore”, dal mondo esterno al loro mondo, furono designati col nome di “mafiosi” o “mafiusi”, e la loro società “mafia”. Allora si scriveva “maffia”, ancora con due effe.La mafia siciliana, la “onorata società”, società per il mutuo soccorso è certo esistita prima del XVII secolo, forse già intorno all’anno Mille. La parola mafia è probabilmente di derivazione araba, e in italiano originariamente significava: arroganza, coraggio, capacità di terrorizzare e, insieme, proteggere, di maledire e incantare, di esorcizzare e scongiurare e evocare gli spiriti maligni. Era inoltre il vocabolo che denotava le streghe. Osservata dall’esterno, la mafia risulta essere strutturata e gerarchizzata. Al vertice è un capo, il “capo dei capi”. Dall’esterno la struttura è chiaramente distinguibile e risulta essere nettamente differenziata: i rapporti d’inferiorità e di superiorità sono stabiliti in base a chi parla di più ad un altro, in base a chi, viceversa, ascolta di più un altro ed in base a chi, ad un altro, parla di meno. Non si distingue tra “verità”, “bello-bellezza” e “bene-bontà”. Si tratta del medesimo: il Rispetto — la stima, la serietà, il credito… Qui però si esaurisce l’analogia della mafia col mondo dell’informazione-società informata: chi possiede più informazioni, è chiaro, ascolta di più ed è, quindi, più vicino al vertice del potere.Nella società mafiosa chi tace, ha o può avere, finché tace, stima e rispetto — la verità, il bene ed il bello: ha ragione ed è bello e buono. Chi parla, d’altronde, non viene preso sul serio. Non informa, non porta a conoscenza — non comunica, non annuncia, ma parla per il divertimento di coloro che sanno e tacciono. Il mafioso non ride, piuttosto si diverte, il che non è osservabile dall’esterno. Chi parla, fa manifesto, usando la lingua, il suo proprio stato di sottomissione, il proprio rapporto d’inferiorità. Se ciò ch’è in stima e in rispetto — verità e bellezza e bontà — viene pronunciato, allora esso perde del tutto la propria importanza. Perde credibilità e rispettabilità, serietà e veridicità, bellezza e giustezza, autenticità e realtà sia per l’oratore che per l’ascoltatore, cioè per qualsiasi affiliato alla mafia. La verità, pronunciata, non è più vera — la parola non è più veritiera –, e non può essere neanche bella. Il Rispetto — il sapere ossia la sapienza, la bellezza, ciò ch’è morale — sono perduti, se vengono alla luce della lingua. Internamente la mafia non è organizzata in alcuna maniera, non ha alcuna struttura. Qui non è possibile eludere un’analogia, un ricordo: la STB, la Pubblica Sicurezza del regime precedente al sistema attuale, era afflitta dalla paranoica aspirazione a scoprire o, meglio, a costruire ad ogni costo la stabile struttura della società dissidente-movimento dei dissidenti. Il quale non aveva alcuna struttura ed organizzazione interna, mentre, osservata dall’esterno, poteva, anzi, doveva risultare tale da potersi scoprire e reprimere.Internamente la mafia è, come dicono i suoi stessi appartenenti, “come l’aria che respiriamo, siamo dentro di essa, ma non si può afferrare”. La mafia siciliana — denominazione assegnatale dal mondo esterno ad essa — è incapace di comunicare col mondo che la circonda. Con questo mondo la mafia non parla, altrimenti ammetterebbe la propria sottomissione. Essa soltanto lo ascolta o disprezza, il mondo che si prende sul serio a voce alta. Che così perde, per la mafia, la sua propria serietà. Addirittura il mondo circostante non riceve risposte alle proprie domande. Il mezzo di comunicazione tra mafia e stato, il mondo circostante, è il crimine o crimine organizzato. Il quale parassita in questa comunicazione, copia la struttura, osservabile dall’esterno, della mafia, l’accoglie come sua interna — vedremo, in seguito, che esso fa propria anche la struttura esterna del mondo circostante — ed è anch’esso denominato mafia o nuova mafia o amici degli amici. La comunicazione tra mafia e stato è, attraverso il crimine, bilaterale. Nei luoghi dominati e negli spazi gestiti dalla mafia, dove lo stato è assente e della comunicazione mafiosa col mondo esterno non c’è alcun bisogno, il vero crimine non esiste.Gli appartenenti alla mafia sanno che, qualora si comportino come uomini d’onore, riceveranno una ricompensa; in caso contrario, saranno puniti. Non esiste, però, alcun criterio interno, norma o legge della mafia, che prescriva quale sia il comportamento di un uomo d’onore. Quindi, l’appartenente alla mafia non sa mai se si comporta in modo giusto o ingiusto, se sarà punito o ricompensato con un premio. L’eccezione è fornita dal caso del parlare troppo, equivalente al dichiarare l’appartenenza ad un’altra struttura, l’autoesclusione dalla propria società, dal proprio mondo: cu è surdu, orbu e taci, campa cent’anni ‘mpaci — chi è sordo, cieco e muto, vive a lungo, in pace ed estraneo ad impicci. Il mafioso è costretto a comportarsi — il tacere è il suo habitus — secondo la sua buona coscienza, e permane nel dubbio. Ciò che, osservato dall’esterno, risulta essere una punizione, si limita invero ad eliminare l’instabilità interna alla onorata società. Non è, quindi, una punizione, serba piuttosto la mafia nello stato funzionante. Per quanto è disposta alla coerente regolazione delle convinzioni generali in relazione con la realtà, il mondo circostante. Il potere della mafia spesso coincide col potere dello stato — possono prefissarsi gli stessi obbiettivi.Per la mafia l’etica e la morale nella lingua non hanno esistenza — la verità ed il bene sono inesprimibili, non si possono esprimere verbalmente.
Il mondo dei cassetti
La mafia è una società aperta, in se stessa non forma alcuna struttura. La sua strutturazione, la sua apparenza come società chiusa ed il suo carattere criminale sono stati provocati dal suo rapportarsi, nel rapporto con un mondo, il mondo circostante strutturato — con lo stato. Essa ha inizio con l’annessione della Sicilia all’Italia, poi unita, nel 1860.Allora la mafia tenta ancora di assorbire il mondo circostante e, a tal fine, utilizza la propria naturale tendenza cosmopolita: la concezione del mondo come villaggio globale. Il mondo, nella concezione della mafia, è la “Little Italy”, la piccola Italia. Tuttavia negli anni ‘60 del XX secolo la mafia perde definitivamente la propria battaglia. Ha inizio la corruzione della mafia. Appare la televisione ed è l’inizio della fine. La mafia compare, fa la sua comparsa nella televisione. Il mondo è, per la mafia, corrotto, svuotato e non è possibile correre ai ripari.In quale modo il mondo esterno comprenda la mafia, e viceversa, è bene illustrato dalla situazione, in cui si viene a trovare il barone Brambeus (O.I.Senkovskij, Viaggi fantastici del barone Brambeus) dopo la caduta nell’Etna. Ogni cosa, qualora sia da lui nominata, non è più la stessa cosa: l’incomprensione costituisce la base di un’efficace comunicazione reciproca. Grazie alla traduzione della titolatura attraverso l’italiano, il barone penetra come subalterno impiegato in un’alt(r)a lingua, in veste di alto rappresentante dello stato. Nel mondo concavo del cratere dell’Etna, si attribuiscono significati opposti allo stesso comportamento, e così via. Così il barone si decide a vivere in questo mondo solo nella traduzione. Simile è la rappresentazione mafiosa del mondo: si compone di cose-cassetti svuotabili. Se la cosa-cassetto è aperta, la sua rappresentazione si riempie. Contemporaneamente, però, è annullato, perché svuotato, il suo contenuto, donde discende il significato della punizione per il delatore: parlando — aprendo il cassetto –, egli ha annullato svuotato una parte del mondo. E, sulla base della intercambiabilità delle cose, è possibile arrivare al delatore, svelarlo e, mediante la punizione, riportare il mondo al suo stato originale, originario — richiudere il cassetto.La “omertà” mafiosa, un’incomprensibile taciturnità, se osservata dall’esterno: internamente, un modo di comprendere al di fuori della lingua, una visione delle cose ch’è realtà analogica. Ciò che il mondo esterno nomina come simbologia mafiosa — per esempio oggetti, pietre fiori, nella bocca del morto — è, per la mafia, un’analogia chiaramente comprensibile, sono segni ben leggibili. Da qui deriva il saldo legame della mafia con la realtà — col territorio, con la terra.Anche il concetto del tempo è, per la mafia, assolutamente particolare. La mafia non ha (la) storia — la coscienza storica; non c’è nulla cui riferirsi, non c’è alcun modo d’interpretare la storia — il passato. Quannu cc’è lu mortu, bisogna pinsari a lu vivu — quello ch’è morto, è morto, quindi c’è da guardare avanti.
Morale istituzionale o il mondo sordo
La società mediale, abbiamo in mente soprattutto quella televisiva, all’interno è chiaramente strutturata e gerarchizzata. Al suo vertice è il capo, il capo dei capi. Internamente è una struttura ben differenziata. I rapporti di superiorità e di inferiorità sono regolati in base alla relazione tra chi parla di meno ed ascolta di più, ed in base a quella tra chi parla di più ed ascolta di meno. Non si distingue tra verità, bellezza-bello e bontà-bene. Sono tenute in conto soltanto l’audience e l’apparenza. Chi parla ed appare, ha — finché parla ed appare — stima e rispetto: ha (la) ragione ed è bello. Chi tace, guarda il teleschermo e non è preso sul serio, non è tenuto in conto. E’ qui e tace per il divertimento di chi parla ed appare: tacendo, fa manifesto il proprio rapporto d’inferiorità. Ciò che non viene espresso, nominato, è dimenticato, non può essere onorato, e solo quando è espresso sul teleschermo, acquista rispetto, veridicità, per chi parla e per chi ascolta. Ciò che non è pronunciato, nominato, non è ancora vero. Il rispetto — la conoscenza, il bello ed il bene — non si manifestano, a meno che non vengano alla luce attraverso l’audience, non vengano mediati dalla lingua, dai numeri: dalle registrazioni. Gli showman mediali non sono capaci di comunicare col mondo circostante, se non unilateralmente. I media stessi non possono comunicare affatto col mondo esterno — il mondo esterno ai media. Gli appartenenti alla società mediale sanno che, se parleranno abbastanza, se appariranno spesso, saranno ricompensati; la loro vita è volontà, tensione a comparire, il più possibile, sul teleschermo. Punizione e ricompensa mantengono in funzione la società mediale rispetto alla realtà mediale — al linguaggio, ai numeri, ai grafici, alle registrazioni…Etica e verità, nel linguaggio mediale non hanno esistenza, se non come giudizi relativi, in base a chi parla ed in base a ciò che l’oratore dice sul teleschermo. Diventano circolari — rinviano ad altri rinvii. So che non so quello che so, è la frase, la parola d’ordine. Perciò è saggio ridurre a norma i giudizi etici. L’etica si riduce alla norma, all’etichetta. Osservato dall’esterno, il mondo mediale non ha alcuna struttura. Appare come uno spazio accessibile a tutti ed aperto a tutte le possibili gerarchie e preferenze, il così detto mercato mediale. Tutto quello che vi accade, è confrontabile in relazione al significato, gli estremi non si rappresentano come limiti, gli opposti non si contraddicono, e così l’intenzione umana di questo mercato passa in secondo piano. In primo piano, vi ritorna nel momento in cui lo sguardo esterno scompare, non appena che l’osservatore esterno divente partecipante — destinatario d’informazione, spettatore. Così è presentata l’intenzione umana!I media si sforzano di assorbirlo il più possibile, il mondo circostante. Nella visione dei media il mondo è un villaggio globale. Solo il mondo svelato dall’immagine e dalla lingua può diventare parte di esso, solo attraverso la visibilità si mette in funzione il mondo.La prolissità e la molteplicità delle immagini dei media: un modo di comprendere le cose non inquadrate nella realtà — “Che cos’è propriamente la realtà?!”: ciò che il mondo esterno definisce “simbolismo delle immagini”, per la società mediale nella sua molteplicità è l’immagine vera delle cose. Da cui discende la fiducia nelle immagini televisive. Il concetto del tempo è qui differente: i media sono onniscienti, svuotano le raffigurazioni del mondo; non si rivolgono al passato — ciò ch’è successo, accade solo sul teleschermo oggi e ora. La verità del passato è verificabile solo attraverso altre e, quindi, future immagini mediali, sebbene queste siano, adesso veramente attuali, abbiano già soppiantato le immagini passate. L’onniscienza dei media si presenta, quindi, come onniscienza riguardo al futuro. In questo modo i media acquistano il pre-dominio sulla realtà.
Fine della mafia in Sicilia
L’inizio della fine della mafia è cominciato l’11 ottobre del 1960. Allora, per la prima volta, la mafia appare pubblicamente, in televisione — nel programma “Tribuna politica” della Rai.Nel mondo delle istituzioni e dei media, la realtà è limitata dalla lingua, dall’immagine. Ciò di cui non si può coerentemente parlare, di cui non si può dare notizia, che non si può definire o registrare con la telecamera, non ha esistenza. Quindi, la lingua e la telecamera definiscono un com-prensibile campionario di realtà. Non è importante che vengano creduti o che non siano presi sul serio, tenuti in conto. In entrambi i casi, la persona condivide la convinzione che la parola e l’immagine siano una realtà ripetibile. Parlare di realtà — verità, morale — cessa di avere senso. Ha inizio la manipolazione mediale della realtà. Il rapporto tra realtà e lingua-immagine è capovolto: la realtà originale, originaria, illustra la realtà della immagine, e della stessa realtà originale ed originaria resta solo ciò ch’è trasformato in un modello visuale-televisivo.Della realtà resta solo ciò che possiamo richiamare, ciò ch’è meccanicamente riconoscibile, registrato. Questo soltanto può penetrare nella nuova realtà. La realtà originariamente vista e richiamata attraverso le espressioni della lingua ed attraverso le immagini — per esempio, un certo stile in architettura, una registrazione televisiva — a poco a poco si riduce alla lingua e all’immagine — lo stile nell’architettura, la registrazione. Da essi è completamente caratterizzata e può essere, quindi, completamente sostituita dallo stile, dalla registrazione. Perché la nuova realtà non si perda, è necessario comportarsi in conformità ad essa — è necessario, per esempio in architettura, costruire in conformità ad un certo stile predefinito, farsi un’opinione in accordo con la televisione.Essere reale significa attenersi alle descrizioni e alla immagine. La relazione tra la realtà e la sua immagine — la lingua, l’immagine sul teleschermo — si capovolge: la realtà viene sostituita dalle descrizioni e dalle registrazioni. La realtà originale ed originaria, limitata e manipolata, diventa lingua. Chi finora ha taciuto, la mafia — parla. Comincia a parlare e, insieme, perde rispetto e onore. Al contrario, chi finora sul teleschermo ha parlato, comincia a tacere e può essere preso sul serio, tenuto in conto. Usando la lingua, che però non comunica alcunché, fa manifesto il proprio rapporto di superiorità, può dire qualsivoglia cosa. Solo ciò ch’è espresso a voce e in immagini, può diventare realtà, ha la possibilità di diventare reale e vero. Il rispetto, la conoscenza ed il bello sono usati con l’uso della lingua. Questa è la fine della mafia siciliana. La mafia, che fino ad allora non ha parlato, comincia, nel momento in cui la la lingua diventa realtà, ed una realtà limitata diventa lingua, a parlare senza aprire bocca. Non è più mafia.Negli anni ‘60, la mafia perde definitivamente la propria battaglia. Nell’ottobre del 1960, quando viene per la prima volta rappresentata in televisione, principia la sua corruzione e il suo svuotamento. Ecco, è l’inizio della fine. Due mondi, la mafia e i media, s’incontrano, acquistano una base comune. In questo modo, per la mafia, il mondo è annullato, svuotato e non c’è alcun rimedio. La “onorata società” accoglie la propria struttura esterna come struttura interna e diventa organizzazione criminale. Le analogie mafiose diventano simboli, in televisione.
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trad. dal ceco di Vladimir D’Amora et alii