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Mafia o mafiosità... cambia poco per una terra votata all'autodistruzione
Creato il 11 luglio 2010 da MariellacarusoEro lì. C'ero nel momento in cui un ragazzo scopriva che la sua vita era cambiata. E' stato il 1 luglio e non avevo fin qui avuto la giusta lucidità per raccontarlo. Perché mai avevo visto qualcuno impallidire in quel modo. Un colpo al cuore e uno alla testa per me, una scossa incredibile per tutti, un dolore pieno di interrogativi assurdi per Antonio e, soprattutto, per Laura della quale non avevo mai sentito parlare fino a quel momento. E che adesso seguo attraverso le cronache per sapere come sta.
Era il primo pomeriggio del 1 luglio. Si scherzava (cinicamente) al bar della redazione - “Non ci sono più i killer di una volta” - sulla seconda sparatoria consumatasi quel giorno a Catania, la terza in dieci giorni. Quasi un ricordo di quegli anni in cui gli omicidi e le sparatorie si segnavano sul calendario con una crocetta rossa e difficilmente qualche casella rimaneva libera.
Ma dopo qualche minuto tutto è cambiato. "Ma lo sai che la ragazza ferita nella sparatoria è una tua compaesana?", è stata l'esclamazione di un cronista dell'Ansa. Parlava con Antonio, uno dei gestori del bar della redazione: "Davvero? Come si chiama?". E' stato nel momento in cui é stato pronunciato quel nome, Laura Salafia, che Antonio capiva che la sua vita era cambiata: Laura, la studentessa 34enne, ferita da uno dei proiettili sparati in piazza Dante davanti una delle sedi dell'Università di Catania da Andrea Rizzotti, dipendente comunale (e aiuto benzinaio in una stazione di servizio che si trova nella stessa piazza della sparatoria) alla volta di Maurizio Gravino, un pregiudicato locale (pare per questioni - ma sarà vero? - di corna) finito anch'egli in ospedale, è la sua compagna. Oggi Laura, dopo l'operazione di decompressione del midollo osseo dove si era stata colpita tra seconda e la terza vertebra, sta lottando per la sua vita e per sapere se potrà ancora muoversi.
Quella che fino a poche ore prima era una vita normale come tante altre è stata capovolta da una questione che, dicono, non c'entra niente con la mafia. Ma che di sicuro ha a che fare con la 'mafiosità': un comportamento tipico della Sicilia. E' la legge del più forte, la legge di chi in virtù di un pretesa superiorità si sente in dovere di prevaricare colui che ritiene più debole. Un comportamento malsano che abbrutisce la vita in una terra che avrebbe tutte le carte in regola per essere diversa ma che non fa alcunché per diventarlo candidandosi all'autodistruzione
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