di Matteo Zola
Drasko Vukovic, trentaquattro anni, da due anni latitante tra le montagne di Crna Gora, oggi è diventato ufficialmente un testimone nel processo contro Darko Saric, la primula rossa del narcotraffico balcanico. Vukovic è stato sentito lunedì 21 novembre dai magistrati del Tribunale di Belgrado ai quali si è consegnato l’11 ottobre scorso. Un’udienza a porte chiuse in cui avrebbe raccontato i suoi anni di latitanza in Montenegro e i rapporti con Saric, anch’egli nascosto in Montenegro grazie alle coperture offerte da Milo Djukanovic. E’ assai probabile che oggi Saric non si trovi più tra le nere montagne di Crna Gora, dove è nato e dove può avvalersi di una fitta rete di fiancheggiatori. Il cerchio attorno a Saric è però difficile da chiudere del tutto, il narcotrafficante gode di appoggi “altolocati”. Su tutti spicca quello di Milo Djukanovic, già premier montenegrino, che controlla indirettamente – tramite il fratello Aco – la banca Prva presso i cui conti avrebbe depositato denaro sporco il boss Darko. Sul sostegno di Djukanovic a Saric è caduto il velo da quando nel giugno 2010 la Dea, la Drug enforcement americana che da tempo collabora con la polizia serba, intercettando le telefonate di Saric ha scoperto che il boss versa alle banche del premier montenegrino il 20% dei proventi derivanti dal narcotraffico. Proprio Djukanovic, infine, si disse disponibile a concedere la cittadinanza a Saric, cittadino serbo, nato però nel paesino di Pljevlja, tra le montagne del Montenegro settentrionale.
Vukovic, secondo indiscrezioni, avrebbe confermato ai giudici di essere stato il braccio destro di Saric per il traffico di coca in Europa ammettendo di aver partecipato al contrabbando di oltre due tonnellate di cocaina dal Sud America. Un’ammissione che è valsa a Vukovic lo status di collaboratore di giustizia, con tanto di programma di protezione.
Per tre ore Vukovic ha raccontato come avveniva l’acquisto, lo stoccaggio e il trasferimento di cocaina dal Sud America ai Balcani e da qui all’Europa intera. Un traffico coordinato dal boss Darko Saric del quale, dice una fonte anonima del Tribunale belgradese citata dal quotidiano Kurir, avrebbe persino svelato il nascondiglio. O, meglio, uno dei nascondigli che il superboss utilizza per sfuggire alle autorità. Una latitanza, quella di Saric, favorita da molte casualità: di recente l’ambasciata croata di Tuzla, in Bosnia Erzegovina, gli ha rilasciato senza troppe difficoltà un passaporto (si era presentato sotto falso nome). Qualche settimana dopo Saric ed è poi stato visto in Svizzera e in Austria. A che fare? Tra le Alpi non mancano le banche, con tanto di torbidi segreti, disposte a riciclare il denaro sporco di Saric, come già il Gruppo Hypo Alpe Adria accusato di aver riciclato – tra il 2007 e il 2009 – una cifra di circa 100 milioni di euro in cambio della quale l’istituto avrebbe attivato linee di credito per un valore pari alla somma depositata: denaro che poi Saric avrebbe investito nel progetto immobiliare Blok 67 a Belgrado. Sulla vicenda stanno indagando le autorità serbe e austriache.