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Maggior sicurezza per runners e ciclisti con la giacca “CLARA Safety”: intervista all’inventore maccagnese Marco Dal Lago

Creato il 13 novembre 2015 da Stivalepensante @StivalePensante

“CLARA” è una giacca diversa, nata da un’idea del giovane maccagnese Marco Dal Lago, che ha fondato in Ticino una start-up, CLARA Swiss Tech. La start-up è formata da quattro studenti diplomati alla SUPSI e ha brevettato una rivoluzionaria “smart jacket” per ciclisti e runner, munita di frecce direzionali e luci di frenata. Il prodotto sarà messo in vendita nei primi mesi del 2016 tramite crowdfunding, ma è un progetto destinato a diventare molto importante. L’idea, infatti, nasce dalla volontà di diminuire i rischi di incidenti stradali che vedono come protagonisti ciclisti e pedoni, soprattutto in condizioni di scarsa visibilità ed in prossimità di strade trafficate o di incroci. Così siamo andati ad intervistare proprio il CEO di CLARA Swiss Tech, Marco Dal Lago.

Da dove nasce il progetto di “CLARA”?

Tutto nasce dalla SUPSI di Lugano. Ho iniziato a fare ingegneria informatica, passando il secondo anno a ingegneria gestionale. Alla SUPSI ho conosciuto alcuni ragazzi con i quali poi abbiamo fondato la start-up CLARA Swiss Tech. All’inizio volevo imparare ad utilizzare Arduino che ti consente, anche se non si è geni dell’elettronica, di metterci le mani, fare un po’ di programmazione, accendere qualche led o fare tanto altro. Beh, io avevo questa idea: creare una giacca con delle frecce, destra e sinistra. Da solo, però, non sarei riuscito a svilupparla in modo professionale, ma erano necessarie alcune figure in altri campi con competenze che io non possedevo.

Chi ti ha aiutato a sviluppare il prototipo quindi?

All’inizio ha partecipato al progetto un altro ragazzo di Luino, Gian Mattia Pettinato, che ha studiato all’I.T.I.S., lui ha fatto elettronica, mentre io informatica, dopodichè siamo andati entrambi alla SUPSI iscrivendoci lui in elettronica ed io in gestionale. Ho chiesto a lui, dopo avergli parlato dell’idea, di essere aiutato nel creare una piccola scheda, che si potesse integrare in una giacca. L’obiettivo era quello di avere un prodotto vendibile con determinate caratteristiche. In realtà, piano piano, il lavoro è cresciuto e si è pensato di creare un’applicazione per smartphone, utilizzare il bluetooth. Così abbiamo inserito nel gruppo un altro nostro amico, Paolo Cunzolo, che è nato a Varese e studiava elettronica con Gian Mattia alla SUPSI.

E da dove siete partiti voi tre? Quali i vostri primi passi?

Così ci siamo detti ‘siamo due ingegneri elettronici ed uno gestionale’, ora ci manca la parte software per creare applicazione. C’era un altro mio amico informatico, che stimo moltissimo ed è molto competente. Anche lui è entrato a far parte del gruppo con un altro ragazzo, Gianluca Cottiati, che ha studiato Banking and Finance a San Gallo, i suoi genitori sono tedeschi ma lui è delle zone di Maccagno. In cinque così abbiamo passato un sacco di notti alla SUPSI per sviluppare il progetto, nonostante il gran lavoro iniziale lo avevessimo già fatto io, Gian Mattia e Paolo. Per far nascere l’azienda, però, con l’ottica di essere una start-up e farla crescere, è stato necessario inserire queste persone, che a mio avviso sono bravissime sia umanamente che scientificamente-tecnicamente.

In che modo l’Università vi ha aiutato? Vi ha messo a disposizione strumentazioni, attrezzature e aule?

I professori hanno sempre collaborato con noi e ci hanno aiutato. I nostri capi sono sempre stati disponibili e ci siamo confrontati con loro, non c’è stato nessun tipo di problema nell’utilizzare qualsiasi strumento ci poteva essere utile. Possiamo solo ringraziare loro e l’università.

In un contesto universitario dove, in Italia, si fatica sia a portare avanti progetti personali, creando una start-up ad esempio, o ad avere la possibilità di utilizzare strumenti di “proprietà della scuola”, è molto interessante capire come la SUPSI di Lugano, invece, vi abbia aiutato e vi abbia lasciato libertà…

In Canton Ticino, fortunatamente, ci sono questi centri di promozione start-up che aiutano molto i giovani e noi siamo riusciti ad avere contatti e possibilità giuste per usare anche strumentazioni in dotazione anche ad alcune Fondazioni… è stato molto utile per realizzare più velocemente il prodotto.

Partendo dall’idea di creare questa giacca con le frecce… come avete iniziato a progettarla?

Frecce nella giacca sì, però sin da subito ci siamo detti ‘non riusciremo mai da soli a fare una giacca, mentre l’elettronica, l’hardware e il software sono le nostre competenze migliori’. In questo modo ci siamo focalizzati su questo e solo in seguito siamo andati alla ricerca di un produttore che riuscisse ad integrare il software nella giacca. Prima di tutto abbiamo creato e integrato le frecce, capendo come accenderle: un tastino sul manubrio della bicicletta comunica wireless, via bluetooth, con la giacca e così con il pollice si può indicare se andare a destra o sinistra. In questo caso le frecce sono arancioni. Se, invece, si vuole andare a correre o camminare c’è la possibilità di accendere la giacca tramite un altro tastino: all’interno vi è un accelerometro che percepisce la decelerazione sull’asse in cui ci si muove e attiva tutte le frecce di rosse come lo stop di una macchina. Inoltre, una cosa interessante, per l’utilità che ne farà il cliente, è quella che la giacca si potrà mettere in lavatrice nonostante la componentistica elettronica, mentre la batteria si potrà caricare una volta a settimana: il nostro target è quello degli urban riders, coloro i quali vanno a lavoro in bicicletta. E’ pensata proprio per loro.

Per produrla, invece, in che modo vi siete mossi? E’ stato difficile trovare un produttore di giacche interessato a seguire il vostro progetto? 

La produzione è un po’ complicata. Ci sono diverse parti che, dovendo essere prodotte separatamente, solo alla fine vengono assemblate tra loro. Da una parte il PCB, la scheda verde con i circuiti, e dall’altra la componentistica. Questi materiali, attualmente, li prendiamo in Europa, facendoli assemblare tra Germania, Francia ed altri paesi. La giacca, invece, arriva direttamente da Bergamo. Il produttore è stato selezionato da internet, dopo aver parlato con una ventina di imprenditori. Penso sia un genio, innovativo, flessibile, veloce… credo si tratti del “genio” italiano, in grado di mettersi in gioco velocemente su un progetto mai seguito prima. Noi, in Svizzera, facciamo il design dell’hardware, del circuito e del software: dopo spediamo i componenti già assemblati a questa azienda di Bergamo, la SILUSI srl, che, a sua volta, li manda al nostro distributore che poi li invia al cliente finale. L’azienda di Bergamo integra i circuiti all’interno della giacca, li termo-salda insieme al loro tessuto e poi fa il packaging.

Quali difficoltà avete riscontrato nel complesso?

Difficile è stato lavorare sul co-design della giacca perchè noi siamo partiti a disegnarla immaginando i bisogni del cliente. Ci siamo guardati intorno e abbiamo capito come agire. Online non c’era nulla di simile, solo qualcuno ci provava a farlo… ma senza riscontri. Il nostro è l’unico prodotto di questo tipo sul mercato.

Quali software e funzionalità avete utilizzato, anche in riferimento all’applicazione? Cosa state cercando di migliorare per la vendita “CLARA”?

Nel 2016 usciremo con un primo prodotto, “CLARA Safety”, che ha la possibilità di utilizzare frecce, frenata e luci quando si va a correre. Stiamo lavorando, inoltre, a “CLARA Performance” che avrà al suo interno il barometro, il GPS, il cardiofrequenzimetro. Questi dati verranno salvati in una memoria all’interno della giacca e, così, una volta tornati a casa, si potranno sincronizzare da smartphone a pc via bluetooth, scaricando tutti i dati registrati durante l’attività. Da questa applicazione, così, si potranno consultare la calorie bruciate, la durata della corsa e tanto altro.

“CLARA”, ad oggi, mi sembra sia un prodotto, come tutte le cose innovative, destinata ad una tipologia di cliente targettizzata, ossia che dal suo lancio non si inserirà nel commercio globale. In che modo state pensando di gestire il mercato per la vendita?

Il business model iniziale era quello di non produrre personalmente la giacca, ma di provare a venderlo a grandi aziende, come ad esempio North Face. Lo scopo è quello di dire loro “Ecco la mia tecnologia. Voi siete molto più bravi ed avete molta più esperienza di noi nel creare una giacca, nel distribuirla nei retails… vi diamo questo circuito e, grazie a questo, magari, fate un boom di vendite. Il mio prodotto non permetterà sicuramente di fare grandi fatturati, ma potrebbe posizionare il brand ancor di più a livello innovativo e tecnologico”. Questo ci piacerebbe fosse il risultato. Per far questo siamo entrati in contatto con grandi aziende; all’inizio, però, non avendo né un prototipo, né clienti già disposti a comprare il prodotto, è sorto un grande problema. Loro volevano proprio questo. Così, abbiamo deciso di creare la giacca, con il mio brand, che si chiama “CLARA”. Abbiamo trovato il produttore e portato a compimento il prodotto finito. In questo modo le grandi aziende avranno la possibilità di vederlo nello stesso modo in cui lo indosserà il cliente e, allo stesso tempo, punteremo su una campagna di crowdfunding tramite “Kickstarter”. Con la campagna stimoleremo la domanda di mercato, sperando di avere tanti clienti, se va bene logicamente, e solo in quel momento torneremo dalla North Face di turno a discutere e confrontarci. Una volta raggiunta questa posizione, in cui riusciremo ad avere un nostro mercato, arriveremo ad un modello di business to consumer. Con “Kickstarter” si tratta di fare una prevendita, i clienti potranno prenotare “ClARA”, che gli verrà spedita dopo qualche mese.

E a questo punto cosa succederà?

Passeremo ad un modello di business to business, andando a vendere il prodotti alle grandi aziende presenti sul mercato. Online sembra più semplice vendere, e lo possiamo già fare grazie al nostro produttore che si occupa di spedire le giacche al distributore. Il 75%-80% delle giacche outdoor viene venduto nei punti di vendita, non online. Ma noi piccola start-up appena nata, come potremmo entrare nei punti di vendita avendo pochi prodotti, poche potenzialità di negoziazione e potere contrattuale pari a zero? E’ necessario, così, trovare distributori che, dopo aver comprato i prodotti, li rivendono nei loro retails point. E’ molto complesso visto che noi ci appoggiamo a due distributori tra Londra e la Svizzera; sarebbe meglio vendere ad una grande azienda già consolidata nel commercio mondiale.

Quale sarà, invece, il costo della giacca una volta avviato il crowdfunding?

Online il prezzo sarebbe minore, ma nei punti vendita il prezzo sale a causa delle diverse modalità di vendita. La previsione per il costo della giacca, che credo sia di grande qualità ed ha un gran costo di produzione anche per noi, è quella di dare uno sconto ai primi clienti. Nelle prime 24 ore del crowdfunding cercheremo di stimolare i compratori: il costo iniziale sarà di 169 pounds (200 euro circa). Nel punto vendita, invece, probabilmente il prezzo si aggirerà intorno ai 250€.

Quante giacche pensate di vendere? Quali obiettivi?

Abbiamo diverse previsioni e dei numeri in testa, ma, attualmente, aspetterei a dirli. Stiamo lavorando anche ad altri prodotti da vendere. Non ci saranno solo giacche. Prima di non averli creati, però, non sveleremo nulla.

Facendo un passo indietro, all’inizio della vostra avventura, come avete ottenuto i finanziamenti e da chi?

Abbiamo partecipato a diversi concorsi a Lugano ed in uno di questi, “Business Ideas”, siamo andati molto bene: vi erano tante persone legate alla SUPSI e all’USI, le due università del Canton Ticino. Siamo arrivati secondi e qualcuno ha notato il nostro progetto. All’inizio abbiamo speso i nostri soldi, ma una volta capito che non sarebbero mai bastati, abbiamo fatto un business plan e abbiamo incontrato alcune persone. Tra questi, fortunatamente, abbiamo trovato due imprenditori che hanno creduto in “CLARA”, sia come investitori, sia come parte attiva, entrando a far parte della start-up. Uno è un export-manager che apre canali distributivi in tutto il mondo, mentre l’altro ha una fiduciaria che si occupa di tutte le questioni burocratiche. Ci hanno aiutato investendo subito per fare il brevetto mondiale, che abbiamo depositato in 140 paesi. Non mi interessa avere soldi da chiunque: voglio persone che non solo siano capaci e competenti tecnicamente, ma che siano persone con una grande etica e sani principi morali. Prendere investitori che vogliono solo guadagnare dal mio prodotto non è nelle mie corde. Inoltre, siamo stati inseriti nel Centro Promozione Start-up a Lugano, un incubatore di nuove aziende, poi c’è Fondazione AGIRE, un fondo di investimento ticinese che ci da una mano. Molto bravi, persone con una grande competenza ed esperienza.

Come siete arrivati con il progetto fino a Londra?

Per arrivare a Londra il percorso è stato molto complesso e c’è stata una grande competizione. Ho presentato l’idea a Lugano ad alcuni americani del programma di accelerazione Mass Challenge presente a Londra, Boston ed Israele. Loro sono rimasti entusiasti e mi hanno detto: “Bravo, complimenti, il tuo progetto ci piace. Ti paghiamo le tasse di iscrizione”. Così ho partecipato al programma di accelerazione Mass a Londra, uno dei migliori al mondo tra quelli no-profit. Sono gli sponsor che finanziano e pagano il lavoro. Il primo video che abbiamo girato per promuovere la giacca l’ho fatto con l’aiuto di due amici luinesi in tre giorni: Carlo Baroni e Marzia Montagna. Loro mi hanno dato una mano e supportato in questo. Dopo aver presentato il tutto, siamo stati scelti tra oltre 2200 start-up a livello mondiale. Passato il primo round abbiamo fatto un’ulteriore presentazione a Londra, davanti a investitori, bancari, professionisti… una competizione assurda. Fortunatamente, però, abbiamo passato anche la seconda fase, tra i primi cinquecento al mondo, ed anche la terza, arrivando tra i primi novanta. Così ci hanno concesso gratuitamente di avere per quattro mesi un ufficio a Londra. Tutto quello che ci serviva ci è stato concesso. Gratuitamente. Gian Mattina è ancora lì che lavora quotidianamente al progetto con un altro ragazzo.

Pensi che, in un paese come l’Italia, dove ancora la sostenibilità fatica a farsi largo, “CLARA Safety” potrà sfondare? Non credi che la giacca sia più propensa ad un mercato straniero, ad esempio i paesi del Nord Europa?

“CLARA” è un prodotto di nicchia destinato ad alcuni paesi con condizioni climatiche particolari (come i Paesi del nord), dove c’è una notevole propensione per la bicicletta, una vera cultura, ed un’attenzione per la sicurezza e la tecnologia. Dopo aver elaborato una ricerca abbiamo dedotto che i nostri mercati potenziali sono prima di tutto i paesi nordici (Danimarca, Olanda, UK, ecc.), dove ci sono più biciclette che macchine. Insomma, le maggiori città bicycle-friendly si trovano in questi paesi e sarà proprio qui dove ci concentreremo inizialmente per il lancio e la distribuzione di “CLARA”. Anche in Italia potrebbe esserci del potenziale, ma solo in quelle città dove viene effettuata una buona percentuale di spostamenti in bicicletta: pensiamo a Ferrara o a Piacenza ad esempio, dove gli spostamenti in bicicletta sono più del 15%.

Infine, qual è il sogno per la start-up e per il futuro di “CLARA”?

La mia start-up non nasce per il prodotto, anzitutto, ma nasce per le persone. La fatica maggiore è stata quella di trovare le persone giuste che, attraverso stima e fiducia reciproche, ci abbia permesso di andare avanti nel migliore dei modi. Questo è solo l’inizio. Sto cercando di tastare un mio business model, quindi capire come dalla prototipazione di un prodotto si possa portarlo al lancio sul mercato. La nostra start-up deve poter investire in persone che hanno un’idea da sviluppare. Dovremo essere un incubatore che aiuta anche altre persone a realizzare i propri progetti. Quello che stiamo già facendo, inoltre, è fare consulenza per lavori che ci vengono commissionati. Mi piacerebbe far espandere l’azienda, lavorare bene e assumere persone.

Un prodotto come “CLARA Safety”, in un futuro sostenibile e attualmente utopista, potrebbe essere molto utile per la sicurezza di qualsiasi persona che si muove in bicicletta o a piedi. In quel futuro, magari, ci saranno piste ciclabile collegate non solo a scuole e parchi, ma anche a cinema o supermercati. La “giacca con le frecce” potrebbe diventare necessaria quasi quanto indossare i caschetti per andare in bicicletta. “Ci piacerebbe arrivare – conclude Marco Dal Lago – a far indossare la giacca agli ausiliari del traffico, agli addetti nelle piste aeree, ai bambini che di mattina o di sera si recano a scuola. Ci sono molti aspetti sociali che potrebbero essere importanti da sviluppare”.


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