Mercato Chamula, San Cristóbal de Las Casas
E alla fine è arrivata: l'onda anomala di libertà. E' successo in un momento qualunque, a bordo di un camión che da Tuxtla Gutierrez mi ha portato a San Cristóbal de Las Casas.
Dai finestrini guardavo la fitta vegetazione, le strade povere e polverose, le forze dell'ordine armate fino ai denti, la gente sparsa e rassegnata, le facce spesso segnate da cicatrici di coltello. Dopo nuvole di nebbia e di pensieri attraverso le montagne, ecco spuntare una valle di case lì in mezzo: San Cristóbal.
Leggevo poco prima di Marcos e i suoi Zapatistas nel Chiapas, di come il comandante uscì dalla giungla in sella alla sua moto per estendere il movimento negli altri stati messicani.
Una volta distolto lo sguardo dalla lettura ho realizzato di essere "sola" in sella alla camioneta, verso un'esperienza totalmente nuova e potente. Ho sentito una ventata d'aria al cuore, una grande forza creativa liberarsi da me. E ho iniziato a scrivere questo post sul mio taccuino, fra una curva e l'altra.
San Cristóbal de Las Casas, Chiapas
C'è di più delle lotte politiche e dell'estrema povertà a San Cristóbal. Ovvio, c'è la solita abitudine ai turisti e la continua richiesta di denaro in cambio di una foto, un braccialetto o una muñeca. Ci sono le croci (di fronte a ogni chiesa), gli sguardi affamati e orgogliosi, i taxi che una donna da sola è meglio non prenda di notte, il retaggio Zapatista fra magliette rosse in vendita nei negozi e un circolo culturale/ristorante, i discorsi di libertà al mercato delle donne di San Juan Chamula dove due uomini ben vestiti sono circondati da una folla di indígenas con le gonne nere e pelose (se di San Juan Chamula) o gli scialli viola con ricami di fiori (se di San Lorenzo Zinacantán, dove amano coltivare fiori soprattutto viola).
C'è soprattutto magia. Nell'aria, nella gente, in tutto ciò che qui si produce. Tutto è fatto con una religiosità estrema, nel bene e nel male. Dalla devozione alla superstizione, dalla fede alla diffidenza.
Potrei vivere qui molto più di qualche giorno come ho fatto: ci sono prodotti locali freschi e ristoranti vegetariani biologici, yoga e scienze di guarigione naturale, colori pastello e tanta, tanta energia in movimento.
Negozi di ambra (considerata dai locali amuleto di protezione per eccellenza e qui anche nella versione rossa, rarissima fuori dal Messico), caffè del Chiapas (uno dei migliori del mondo, anche se io non bevo caffè) e posherías (bar che vendono il pox, bevanda tipica del Chiapas, considerata alcolica ma non troppo... comunque non adatta ai minori né tantomeno alla sottoscritta!).
Calle Real de Guadaloupe
Mercato nei pressi del Templo de Santo Domingo
Cattedrale di San Cristóbal, Plaza 31 de Marzo
Magia, nei pueblitos di San Juan Chamula e San Lorenzo Zinacantán a una decina di chilometri da San Cristóbal, dove gli abitanti credono davvero che la macchina fotografica rubi l'anima: guai a uscire l'attrezzo (o lo smartphone) dentro la chiesa oppure tentare di riprendere dei volti, a meno che non si voglia essere assaliti, pagare una multa e avere sequestrato l'oggetto incriminato.
Non so quante volte avrei voluto fotografare certe situazioni e non ho potuto... Qualunque viaggio io abbia fatto, sono sempre stata più attirata dalle espressioni, dai dettagli che comunicavano qualcosa, da momenti che raccontavano una storia. Per quanto mi sia rimasta l'acquolina in bocca in questi paesini che ad ogni angolo offrivano ispirazione, mi sono accontentata di quanto "rapito" a San Cristóbal.
San Lorenzo Zinacantán
San Juan Chamula
Dai ceri accesi di fronte a flotte di santi sugli altari fino ai rituali tanto vicini alla santería afro-cubana, l'atmosfera in quei pueblitos era intensa, l'aria densa e pesante.
Specchietti appesi alle statue dei santi per riflettere il malocchio, curander@s che guariscono con le erbe, riconoscono i mali toccando il polso (questo mi ricorda l'Ayurveda!), curano tramite le croci... Candele di ogni colore in base allo scopo, sputando pox intorno al malato per purificarlo dal mal ojo o dal suo stesso cattivo comportamento (qui ritengono che se ti ammali è perché ti sei comportato male, per esempio se ti sei fatto fotografare!), spolverando la sua aura con ciuffi di erbe o uova (che sembra assorbano la negatività) e, in casi estremi, spezzando il collo di una gallina, in modo che la malattia passi dalla persona all'animale che, lasciandoci le penne, se la porta via. Arrivato quel momento non me la sono sentita, sono uscita dalla chiesa di San Juan Chamula, dove si stavano tenendo almeno tre o quattro rituali contemporaneamente. (Per la cronaca, la gallina le penne ce le lascia davvero: pare che la iettatura e/o il malanno rimangano solo nelle piume, la carne è ok e viene dunque mangiata. Non si butta via niente.)
Di ritorno dai pueblitos, non posso che fare anch'io "magia". Quella dove non occorre altro che se stessi, corpo, mente e anima, a prescindere dalla religione: una classe di kundalini yoga persino qui, nel Chiapas.
E mi accorgo di come la mia anima sia lì, al suo posto, nessuno l'ha rubata. Non ancora.