di Woody Allen
con Colin Firth, Emma Stone
Usa, 2014
genere, commedia
durata, 97'
"Magic in the moonlight", un mugolio di nasali, un allambiccare di suoni rotondi che tentano invano di portarci via in una dimensione temporale senza confini precisi.
Scivolano i consueti titoli di testa in caratteri di scrittura Windsor bianchi su sfondo nero, musica jazz di sottofondo. Terminano e ci troviamo a Berlino, nel 1928 di fronte a un improbabile prestigiatore cinese, Wei Ling Soo che cela in realtà l'identità di Stanley Crawford (Colin Firth) che ci scomparire da sotto gli occhi un elefante, entra in un sarcofago e si volatilizza. Già dai primi cinque minuti inizia lo sbadiglio imbarazzato. Woody Allen e la magia, ovvero vedi alla: voce "Broadway Danny Rose", "La maledizione dello scorpione di Giada", "Alice", "Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni", "New York Stories" e il più recente "Scoop". Come se non bastasse Allen mescola bene il suo cappello magico, infila abilmente la mano e cosa ne tira fuori come colonna sonora?
Ma la speranza è l'ultima a morire. Sempre eccellente nella caratterizzazione, tanto da sconfinare quasi nella caricatura e nel caratteristico il personaggio del protagonista di Magic in the Moonlight è presto delineato dopo poche battute: bisbetico pessimista e brontolone.
Come il suo vecchio amico Howard Burkan (Simon McBurney) lo definisce, é uno snob, un genio perfezionista con il fascino di un'epidemia di tifo. L'infelice misantropo scende dalla sua rocca di nichilismo per dirigersi nella residenza della famiglia Catledge, in Costa Azzurra: Grace la madre (Jacki Weaver), Bruce il figlio (Hamish Linklater) e Caroline la figlia (Erica Leerhsen) sono succubi del fascino della giovane chiaroveggente Sophie Backer (Emma Stone), che egli è convinto di poter facilmente sbugiardare.
Peccato che questa volta la lama raffinata della satira non sia abbastanza affilata e la sceneggiatura —mitragliante, non si ha un attimo di respiro— propone un'infilata di luoghi comuni sulla consolazione che l'uomo trae dalla menzogna, dalla religione e da una vita altra in generale.. E che nostalgia delle battute raffinate e dissacranti di Io e Annie —una per tutte la geniale: "dio é morto, Marx é morto e neanche io mi sento tanto bene"— quando siamo costretti ad ascoltare un dialogo raffazzonato sulla morte di dio con tanto di supposti rimandi colti a Nietzsche e Hobbes —pace all'anima loro—. Come si può dire cosa è possibile? Domanda in continuazione la Stone nel ruolo della truffatrice americana. Ce lo chiediamo anche noi se pensiamo che Allen non più di due anni fa ci ha deliziato con una perla rara come" Blue Jasmine".
E ancora, se la giovane in uno dei suoi allettanti pantani di zuccheroso sproloquio domanda al prestigiatore "chi vorrebbe un pessimista barbuto che si rintana tutto il giorno nella stanza a provare", noi potremmo a nostra volta domandare chi vuole più uno un regista che mette in ogni film un ballo al charleston e un attore che recita come lui.
Allen stesso ci risponde per mezzo del suo protagonista, si tratta certo di una sfida al buon senso e all'umana comprensione.
Erica Belluzzi