Magic Mike: se tanto mi dà Tatum...

Creato il 12 ottobre 2012 da Dejavu
Per chi abbia già visto Burlesque, non è che Magic Mike racconti poi molto altro. Matthew Mccounaghey - attore al quale non ho mai capito perché non abbiano affibbiato un più semplice cognome di battaglia - è l'alter ego maschile di Cher che nell'altro film mostrava pari intraprendenza e distacco nel tirare avanti la baracca. Lui qui è Dallas, proprietario di un night club con mire espansionistiche che guardano a Miami e a qualche metro quadrato in più. Channing Tatum è Michael Lane, ovvero il magico Mike del titolo. Magico per il magnetismo delle sue performance sul palco, per la padronanza del suo corpo in scena, per i dollaroni che porta al padrone che lo ha strappato dalla strada anni prima, intuendone l'ascendente sulle donne. Le stesse che usa di notte senza poi nemmeno ricordarsene il nome al mattino. Ora Mike cerca di fare uguale con un ragazzo conosciuto al cantiere, certo Adam detto "Kid", squattrinato senza arte né parte, un dimesso Alex Pettyfer che nel corso della vicenda acquista sempre più spessore dando sicurezza al suo personaggio mano a mano che il suo vestiario si assottiglia.  La sorella Joanna (Cody Horn) gli ha offerto un tetto e un divano su cui dormire a Tampa. Ma la sua mentalità bacchettona fatta di vedute ristrette non può certo permetterle di accettare serenamente la svolta spogliarellista del fratello. E per paradossale che sia, proprio a lei, così pudica e morigerata sembra toccare la parte più consistente del film che sullo scontro tra perbenismo e trasgressione gioca le carte più valide del mazzo alternandole come il giorno alla notte.
Salta evidente come i protagonisti maschili, tra un numero e l'altro, tra un centimetro di carne in più e un perizoma rigonfio di banconote si rivelino quasi inconsistenti, come i vestiti che progressivamente si tolgono o strappano di dosso. Lo spogliarello li arricchisce di danaro ma li depaupera nel mentre di qualsiasi consistenza caratteriale, rendendoli meri oggetti del desiderio sessuale di un pubblico prettamente femminile. (Pur avendone uno famosissimo sul palco, i gay in platea non erano contemplati).  Matt Bomer, Joe Manganiello e Adam Rodriguez stingono senza lasciare traccia che non sia un paio di pantaloni lanciati sulla platea urlante da perenne 8 marzo. Sono presenze intermittenti, come le luci a occhio di bue che presto si spegneranno per lasciarli nell'ombra esistenziale. La razionale e disincantata Joanna, invece, dopo aver conquistato involontariamente i sentimenti di "Magic" Mike rompe l'incantesimo nel cui bozzolo era avvolto e ne mette a nudo - in senso metaforico - una dimensione tutt'altro che magica. Joanna è altro rispetto alle donnette spettatrici che vorrebbero Mike possibilmente nel proprio letto, anche pagando. E' la tipica rappresentazione di quel mondo diurno fatto di conti, banche che negano prestiti, solide considerazioni quotidiane che Mike rifugge secondo la logica del guadagno facile. Ma quando Adam detto "Kid", spinto dalla stessa logica, comincia ad imboccare una strada senza ritorno e a superare il maestro dello strip, è allora che Mike capisce di aver fallito il suo compito e di aver tradito se stesso oltre che le aspettative di Joanna. Di fronte alla svolta inattesa, Mike smette di essere solo carne e diventa ciò che non è mai stato, spirito e sentimento. Perché l'amore è soprattutto questo e non ne può prescindere. Sarà il numero migliore della sua vita. Quello che non ha mai fatto. Quello fuori dalle luci della ribalta, con tutti i vestiti addosso e con una sola spettatrice a guardarlo. 
Resta però l'impressione che Steven Soderbergh abbia voluto accontentare occhio e mente senza appagare né l'uno né l'altro. La stessa impressione che suscita un mucchietto di vestiti informi sul pavimento dopo che un anonimo stripper se n'è andato dalla scena. 







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