La prima volta che ho ascoltato “Chances & Accidents”, non avevo idea di chi fossero i Magnetic Soud Machine.
Non è stata una scelta la mancanza di info preliminari, ma ho colto l’occasione, un’ora libera e via, il cd ha iniziato a girare.
Il primo ascolto è per me fondamentale per avere un’idea del lavoro generale, e sono convinto che, nonostante la voglia di esprimersi nella massima libertà, quando gli ingredienti in gioco sono noti, ci sia una sorta di condizionamento che, almeno inizialmente, può portare a giudizi errati.
Al termine dei dieci brani strumentali mi sono chiesto se avevo tra le mani un lavoro di molti anni fa, che non conoscevo, magari di qualche gruppo che ha vissuto in sordina “il momento buono”; ho pensato a maturi musicisti, scafati e dediti a lunghe jam sessions; insomma tutti gli elementi mi riportavano a schemi consolidati e a categorie in cui il termine”esperienza” è basilare.
Niente di tutto questo.
I MSM sono ragazzi poco più che ventenni, che suonano un funky jazz che mi ha riportato molto indietro nel tempo.
Non sono sicuro che il gruppo sarà gratificato da questa affermazione, ma nella mia concezione di musica, “antico” non significa quasi mai “vecchio”, ma quasi sempre “eterno”.
Semmai mi viene da chiedere ( e nell’intervista a seguire ho inserito una domanda specifica) come ci si può innamorare da giovanissimi di questo tipo di musica tutt’altro che semplice e abbordabile, sia nella realizzazione che nella ricezione.
Le atmosfere che ho captato sono quelle di un genere particolare, che a inizio anni 70 viveva di luce parallela, alternativa a quella del prog, forse più comodo da assimilare.
Perigeo, Nucleus, Soft Machine e tempi alla Biriaco e Capiozzo.
Similitudini che i MSM avranno sentito tante volte, magari con un po’ di stizza.
Non ci sono liriche e, al momento, non c’è l’esigenza di raccontarsi e inviare messaggi, perché la musica è l’unico obiettivo, la sola azione legata alla voglia di esprimersi.
E non c’è nemmeno un concept album, di questi tempi spesso realizzato, anche in dischicompletamente strumentali.
Ma è un lavoro a mio giudizio estremamente “completo”, dove si dichiara in un attimo la proposta (a me è sembrato tutto molto chiaro sin dall’inizio) e col passare dei minuti le aspettative non vengono deluse.
Un sound potente, una sezione ritmica da “scuola superiore” e un amalgama sorprendente.
L’assenza di condizionamento a cui accennavo inizialmente potrebbe colpirmi ora, mentre scrivo, perché faccio davvero fatica a capire come questi ragazzi, giunti ormai al quinto disco, siano in grado di dimostrare tanta sicurezza e qualità. Ma è un album che regala forti emozioni a chi ama il genere ed è consigliabile per chi vuole capire qualcosa di più su una musica che, secondo me, alimenta il senso di libertà e la voglia di “sano” movimento.
Ho usato prima il termine Funky e Jazz.
Non amo dare delle etichette, anche se riconosco che spesso sono necessarie per far capire al curioso ( e potenziale acquirente) che cosa deve attendersi dall’ascolto, ma nel caso specifico trovo estremamente calzanti le due definizioni che, se messe in pratica sotto forma di suono di sintesi, riescono aprocurare una miscela esplosiva.
E sono curioso di verificare sul campo, dal vivo, la bontà di questo mix!
Intervista
La prima cosa che mi ha colpito leggendo e ascoltando i MSM è il vostro stato anagrafico, che correlato al tipo di musica che proponete è dal mio punto di vista sorprendente. Che cosa spinge dei giovani musicisti su una strada così difficile e di qualità, seppur di nicchia? Come si fa ad aver le idee così chiare attorno ai vent’anni?
ALESSANDRO: non ho le idee chiare su quello che stiamo facendo. L’importante è aver trovato un genere che pian piano ha appassionato tutti i membri del gruppo. Sinceramente non penso ci sia un motivo serio e razionale per cui abbiamo scelto proprio questo, forse la voglia di sperimentare.
STEFANO: credo che abbiamo scelto solo di suonare qualcosa che convincesse tutti. Forse sono gli ascolti a definire cosa è valido o no secondo noi. Questi sì, riconosco, particolari forse per la nostra età... poi anche è stato importante ascoltare molto le cose insieme. La strada è impervia, certo, ma ancora non ci dobbiamo porre il problema di fare qualcosa di spendibile... e forse questo problema non ce lo porremmo mai.
GIACOMO: paradossalmente credo sia stato proprio il non avere le idee chiare una delle componenti che ha contribuito a forgiare il "sound MSM".Non ci siamo mai preclusi nulla, né negli ascolti né nella composizione, credo sia questo il nostro segreto. Abbiamo creato una musica spuria e per questo, crediamo, originale. Cosa sia stato a spingerci su questa strada non lo so... credo che il caso abbia giocato un ruolo fondamentale.
RICCARDO: sicuramente nel mio caso è stato di fondamentale importanza il ruolo di mio padre. Fin da giovane coltiva una passione per la musica che ai miei occhi ha sempre avuto dell'incredibile ed ha una stupenda collezione di album intramontabili che spaziano dal rock al soul, dal funky alla fusion, dal lounge al jazz. Io ho avuto la fortuna di far bottino di questa cultura infusa per anni e anni, finché un giorno ho scoperto di essere anche molto attratto dalle percussioni.E' stato questo ultimo passo importante che mi ha fatto avvicinare in maniera cosi profonda alla musica. Ciò che ha sempre sorpreso me è come mio padre sia riuscito ad avvicinarsi ad un certo tipo di interpretazione e di ascolti senza aver mai toccato uno strumento.
Ascoltando “Chances & Accidents” sono immediatamente tornato ai gloriosi gruppi del passato e le contaminazioni sono ovviee dichiarate. Quale o quali artistivi hanno realmente influenzato? Esiste una sorta di spirito guida musicale?
ALE: Perigeo, Camel, Weather Report, Chick Corea, Bill Evans…
STE: non credo ci sia una linea guida, ma una continua discussione tra tutti. Fin quando arriveremo ad una sintesi produttiva, credo che MSM continuerà a dire la sua! Dal punto di vista personale, ci sono diversi musicisti che mi piacciono, ma non ne ho uno di riferimento.
GEK: si può dire che c'è un gruppo che sintetizza al meglio i nostri gusti e che amiamo, o che comunque abbiamo amato intensamente tutti e quattro: i Perigeo, ai quali ci hanno anche spesso accostati.
RIC: Vinnie Colaiuta per il suo drumming aggressivo e potente e poi Allan Holdsworth perchè rappresenta al meglio ciò che vorrei esprimere musicalmente. Ciò che ha fatto realmente da linea guida in tutti questi anni è stata l'amicizia. Non mi sento un professionista e credo fortemente che se fosse venuta a mancare questa componente non avrei neanche mai comprato una batteria.
In cinque anni avete realizzato tre album. Come giudicate il vostro cambiamento? Come è progredita la vostra proposta?
ALE: penso proprio che siamo migliorati molto rispetto a 5 anni fa. Soprattutto a livello tecnico, ma anche perché sono più anni che ascoltiamo jazz o fusion, in generale abbiamo un bagaglio di ascolti maggiore, quindi anche di idee.
STE: abbiamo più confidenza con l'incisione, col live, con gli strumenti. Abbiamo anche migliorato la strumentazione. Poi con l'ultimo lavoro C&A c'è maggiore omogeneità tra i pezzi, mentre prima il disco era proprio un calderone dove finiva dentro di tutto. Ora non è che selezioniamo (solitamente incidiamo e suoniamo il 99% delle cose che facciamo) ma semplicemente viene fuori tutto più omogeneo.
GEK: credo che il cambiamento sia stato radicale, ma che in fondo i germi del nostro sound ci fossero già nel primo album. Abbiamo però preso molta più dimestichezza col linguaggio strumentale. Il punto di forza è stato inventare dei buoni espedienti per far "girare" tutto e farlo suonare come volevamo,anche se non avevamo le capacità tecniche e armoniche proprie di un gruppo fusion. Le lacune tecniche sono state colmate con la ricerca. Ed è stata una ricerca individuale ma soprattutto di gruppo. Diciamo che siamo un po' come dei muratori che con lavoro di gruppo e anche un po' di astuzia sono diventati scultori.
RIC: ritengo sia incredibile il salto di qualità dei nostri brani rispetto a 5 anni fa. Non avrei mai immaginato di arrivare al punto di ascoltare la nostra musica come ascolto quella dei musicisti che amo. Abbiamo finalmente raggiunto un'omogeneità e un equilibrio accettabile, ma ho ancora voglia di andare oltre. La nostra fortuna è che in un genere come la fusion il nostro deficit di tecnica ci ha inconsciamente costretti a puntare ad una composizione dei pezzi più ricca e varia piuttosto che dimostrare il livello tecnico, come ora fanno in molti. Ritengo sia giusto elogiare particolarmente il nostro tastierista Alessandro per la sua dote di compositore: c'è sempre il bisogno di qualche limata ed aggiustata, e noi in questo siamo proprio bravi secondo me; ma le sue idee sono quelle che poi scatenano le nostre.
Sempre riferito alla domanda precedente. Mi pare cosa inusuale che si produca tanto in così poco tempo, tenendo conto di come ci si muove … attorno alla musica. Che tipo di rapporto avete con la vostra etichetta, la Lizard, che vi ha prodotto da “ChromaticTunes” ad oggi?
ALE: con Lizard abbiamo un ottimo rapporto, Loris ci da consigli mirati e sempre molto utili.
STE: produrre tanto in poco tempo è stato possibile perchè eravamo studenti delle superiori e vicini di casa praticamente, dunque c'era tutto il tempo. Ora è più difficile, siamo più dispersi, ma qualcosa credo faremo lo stesso, finchè le idee e la voglia ci sono. Per quanto riguarda Lizard... ci offre molte occasioni oltre che per “metterci in vetrina”, anche per provare a sperimentarci in direzioni nuove (ultimo tra tutti: la nostra partecipazione ad una compilation di brani ispirati a dei racconti di E. A. Poe; ci siamo a nostra volta ispirati alle atmosfere dei mitici Goblin e dei film di Dario Argento...).
GEK: ogni album è una fotografia di un momento che abbiamo ritenuto opportuno fotografare. Non è detto che avremo sempre idee o che avremo sempre tempo, per cui abbiamo ragionato con la logica del "chi ha tempo non aspetti tempo". Loris è un buon amico oltre che che un discografico. Lizard ci da una buona visibilità e ci aiuta ed incoraggia in un percorso tutt'altro che semplice.
RIC: aver trovato questa intesa negli anni delle scuole superiori ci ha permesso di buttarci a capofitto nei nostri lavori e quindi di produrre molto. Ovvio, servono anche le idee. Ora tra lavoro nel mio caso e università per gli altri è più dura, ma abbiamo ancora voglia e ancora tanto da dire. Con la Lizard c'è un ottimo rapporto, Loris tiene molto a noi. Ci da sempre molti consigli e molte opportunità. Non posso non citare il MACche ci ha letterarlmente “scovati” in uno dei nostri concertini in giro per piazzette e localini e ci ha presentati alla Lizard.
Una delle domande che faccio spesso è legata ai testi, alla loro necessità e alla loro funzione.Che cosa accadrebbe inserendo una lirica in un vostro brano?
ALE: impossibile mettere una voce sopra i nostri brani, o almeno non siamo ancora in grado di riuscire ad arrangiare in maniera convincente una linea vocale sopra le nostre idee.
STE: non abbiamo una sensibilità in tale senso. Nessuno ha ancora niente da dire con le parole. Però a me piacerebbe provare a lavorarci in futuro… penso ad esempio a come hanno lavorato i Camel in The Snow Goose con il racconto di Paul Gallico. Riescono davvero a raccontare la storia. Insomma andrebbe cercato un modo di far interagire parola e suono, diverso però da quello “MTV”, per capirci, che ormai forse è depotenziato e banalizzato dall’onnipresenza e dallo stereotipo.
GEK: come ho già detto non ci precludiamo nulla, l'idea è stuzzicante e non è detto che non verrà mai presa in considerazione. Però vedrei una voce utilizzata più come uno strumento musicale che come un modo per comunicare dei messaggi a parole. Un po' come avviene in alcune canzoni di Allan Holdsworth.
RIC: ben venga tutto ciò che suona. Il piacere deve essere trovato dal suono delle parole e non dal loro significato. Sono categorico su questo argomento. La voce ha un timbro stupendo, inconfondibile e complesso, appunto per questo in pochi la sanno davvero usare. Amo infinitamente Bobby Mcferrin per questo. A lui non servono orrende storielle d'amore o altro per far emozionare.
Dagli anni 70 ad oggi la tecnologia ha prodotto una rivoluzione. Quanto incide sul vostro lavoro “il nuovo”? C’è predisposizione e spazio per la sperimentazione?
ALE: io personalmente sono molto legato ai suoni “puri”, cioè piano elettrico e pianoforte. Non mi piace molto la sperimentazione in ambito di suoni, ma piuttosto cercare di essere originali nelle armonie.
STE: in realtà, per esempio in studio, ci serviamo di tutte le possibilità che oggi offre la tecnologia digitale. Non siamo inclini a una grande ricerca di suoni (ad esempio “elettronici”)… ma non perché siamo legati ai '70 o agli ’80, o peggio al “vintage”. Ed infatti non utilizziamo suoni '70… viviamo nel 2010 e a mio avviso si sente.
GEK: la tecnologia è molto comoda; basti pensare agli strumenti che offre un programma di incisione, o al fatto che oggi in una sola tastiera si possono avere i suoni di un rhodes di un hammond e di un sinth... Per quanto riguarda i suoni moderni offerti dalla tecnologia digitale, credo che la propensione della band per ora non sia molto alta. Ma in futuro chissà.
RIC: Su questo argomento cambio idea ogni giorno. Non si può più parlare oggi giorno di suoni puri e non, secondo me. Ormai siamo intrisi di elettronica, ma a mio avviso la tecnologia c'è sempre stata. Un semplicissimo flauto di pan, per la sua epoca, era tecnologico. Fra un milione di anni probabilmente suonare con un computer sarà vintage. Trovo invece rivoluzionario ciò che è successo nella registrazione e al fatto di poter scrivere nero su bianco i suoni in modo cosi nitido e poterli manipolare. Senza tali strumenti registrare per noi sarebbe diventato una storia molto più lunga. Taglia, cuci, ricama... ora si può fare di tutto.
Sono sempre molto interessato all’affiatamento dei gruppi di lavoro( non solo musicali). E’ possibile raggiungere l’obiettivo prefissato (un album, un tour…) senza il collante dell’amicizia, della stima, dell’affetto? Basta essere ottimi professionisti per creare un buon lavoro in team?
ALE: l’amicizia all’interno dei MSM è stata ed è una componente fondamentale.
STE: chi può fare fino a tre dischi, dedicandoci un sacco di tempo, pazienza ed un bel po’ di soldi e senza un ritorno di gloria imperitura (però un sacco di soddisfazioni sì…)? Credo solo un gruppo di amici legato da un grande affetto. Poi non credo siamo preparati e tecnicamente definibili “professionisti”. Anzi i nostri limiti tecnici forse sono stati utili a lavorare musicalmente in direzioni non scontate… in questo senso siamo più liberi dei professionisti.
GEK: l'amicizia è un fattore fondamentale. Credo si siano creati dei legami indissolubili in questi anni.
RIC: esatto, proprio per questo non siamo dei professionisti. Come ho già detto prima, senza il collante dell'amicizia non credo saremmo arrivati fin qui.
Quanto è importante per voi la performance dal vivo? Riuscite a viverla con spirito ludico o è fonte di stress?
ALE: dipende da che tipo di serata. Ormai comunque si cerca più che altro di divertirsi e diconseguenza di divertire il pubblico, è importante che la gente veda 4 ragazzi che si impegnano e si divertono sul palco.
STE: Per me suonare fuori è bellissimo, e non è vero che il genere non è spendibile; molti ci ascoltano volentieri e con attenzione anche se non competenti. E poi si “testano” i pezzi... altrimenti se si suona solo in sala prove si rischia di scollegarsi dall'esperienza di ascolto. Il nostro obiettivo non è far rivoltare le orecchie... magari tirarle solo un po'.
GEK: la gente a volte ci sorprende... Se i locali ci richiamano, se qualcuno compra i dischi, se ad ogni concerto qualcuno di nuovo ci viene a fare i complimenti, significa che riusciamo in qualche modo a toccare la loro sensibilità. Naturalmente non facciamo bagni di folla, ma quando siamo in palla la gente si diverte e ci divertiamo pure noi. Questa è la cosa più importante.
RIC: E' un momento magico. Dopo ore e ore in sala prove ad architettare un discorso gradevole, finalmente esci e ne parli con qualcuno. Anche perchè data la scarsa attenzione al nostro genere i nostri live sono sempre molto intimi. E poi quando capisci di aver emozionato davvero qualcuno la felicità è alle stelle.
Avete sempre trovato incoraggiamento da parte dei vostri familiari o qualche genitore più … pragmatico, o magari innamorato di altri generi musicali, ha cercato di raffreddare gli animi?
ALE: assolutamente no! I miei genitori mi hanno sempre sostenuto e li ringrazio molto.
STE: credo che tutti, sotto sotto siano orgogliosi di quello che facciamo, ed è meraviglioso. Ci hanno aiutato concretamente molto spesso: ad esempio il piccolo stanzino in cui suoniamo (tra varie esperienze, io ci suono da quasi dieci anni!).
GEK: I miei genitori mi hanno sostenuto sempre. Sono orgogliosi di quello che facciamo e di quello che abbiamo creato.
RIC: Ci hanno tutti sostenuto con una felicità immensa e so che sono molto orgogliosi della nostra sana passione. Li ringrazio per questo.
Come vi vedete o come auspicate di essere, musicalmente parlando, alla veneranda età di trentacinque anni?
ALE: non saprei che dire!
STE: spero di imparare un po' di più a leggere e scrivere la musica ed anche di migliorare con il mio strumento. In generale però non mi ritengo capace di diventare un musicista di professione. Credo farò dell'altro per vivere e poi dedicherò una buona parte delle mie energie a queste faccende. Poi se succede…
GEK: credo che fare previsioni così a lungo termine sia del tutto inutile. "Sua maestà il caso decide ogni cosa" diceva Voltaire. Posso tuttavia dire quello che spero. Spero di migliorare con la chitarra e di continuare a suonare live, anche se non punto a diventare un professionista.
RIC: di sicuro suonerò ancora la batteria e spero anche in compagnia dei tre moschettieri di cui sopra. Spero di migliorare sempre di più e se imparassi anche a leggere la musica non sarebbe male. Al momento sono un “cavallo pazzo”, della serie tu suona che poi mi ci metto sotto io. Quindi direi che al momento è dura che diventi un professionista, però chissà cosa riserverà il futuro.
Biografia
Il progetto Magnetic Sound Machine nasce nel gennaio 2005 dall'interesse per la musica jazz-rock, in linea con una meravigliosa tradizione italiana e più in generale di tutti gli anni '70, fino alla fusion di oggi. Alessandro Caldato, tastiere; Giacomo Girotto, chitarra elettrica; Stefano Volpato, basso elettrico; Riccardo Pestrin, batteria formano il quartetto “magnetico”. La collaborazione con Andrea Massarotto (sax contralto e flauto), quinto storico membro della band, si è conclusa nell'estate 2010. Nel 2006 la band auto-produce un primo lavoro, “ElementS”; inciso, mixato e masterizzato presso il Virtual Studio di Treviso da Andrea De Marchi (virtualstudio.eu), col quale la collaborazione continua anche per i successivi “Chromatic Tunes” del 2008 e “Chances & Accidents” del 2010. Questi due lavori sono prodotti da Lizard Records di Loris Furlan (lizardrecords.it). Ad oggi hanno ottenuto un ottimo riscontro di pubblico e critica: Chromatic Tunes è finalista nelle categorie Best Recording e Best Debut Record ai ProgAwards 2008; C&A, pubblicato il 1 maggio 2010, risulta il vincitore del Premio Toast 2010 presso il MEI di Faenza.
Brani:
-Camel Trouble
-Queanova
-Le Chat Noire
-Chansis
-Axidents
-Night Bell
-900 Bills
-Karizma
-Wake up with me 2
-Every one can sing a jazz rock song under the shower
Line up
Giacomo Girotto chitarra elett.
Riccardo Pestrin Batteria
Stefano Volpato basso
Alesandro Caldato tastiere
Ha partecipato alla realizzazione del’album anche Andrea Massarotto