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regia di F. Ozpetek
Pietro (Elio Germano) è un giovane che inforna cornetti e sogna di fare l'attore.
Lasciata la Sicilia per la capitale, trova casa nel quartiere Monteverde dopo essere stato ospite di una lontana cugina (Paola Minaccioni).
Entusiasta dell'appartamento, si accorge presto di non essere solo e di condividere la casa con inquietanti inquilini.
Le presenze sono fantasmi di attori di un'altra epoca, quella del ventennio fascista, prigioniere del passato, che chiedono a Pietro di aiutarle a recuperare la libertà.
E' ufficiale, Ozpetek è in debito di ossigeno, ha smarrito la spinta propulsiva che lo ha reso noto e di conseguenza si rigira con voluttà nella sua (indiscutibile) bravura tecnica, resta avvinghiato alla propria poetica peccando di autorefenzialità.
Dopo il flop di Un giorno perfetto (2008) e il copia-incolla del comunque divertente Mine Vaganti (2010), il regista turco si impantana in questo film che sarebbe dovuto essere onirico e invece risulta debole e soprattutto incompleto.
Debole perché è pieno zeppo di storie ed argomenti: la guerra, le donne platinate anni '40, le rivalità da palcoscenico, Pirandello, il tutto mal amalgamato, senza un progetto ben definito.
Incompleto perché la presunta teoria di "finzione o realtà?" va a farsi benedire quando l'intervento della medicina fa sparire le "magnifiche presenze" dalla vita del protagonista, decretando ufficialmente che trattasi di visioni e quindi di malattia.
Ozpetek conferma la propria visione del mondo abitato quasi esclusivamente da gay, utilizzando l'omosessualità come parco giochi.
Quasi imbarazzante la varietà di omosessuali che fanno passerella in Magnifica presenza: il protagonista timido e sognatore, il vicino di casa silenzioso e dolce, Platinette novello Colonnello Kurtz, il belloccio incazzato, un intero laboratorio cappelleria dove lavorano esclusivamente trans non proprio giovanissime e addirittura un fantasma.
C'è posto anche per qualche etero, la cugina Maria, ma ahimè, guardacaso è una sessualmente disinvolta, sentimentalmente poco affidabile e quindi patetica (quando ci prova con il protagonista gay).
Non mancano neanche situazioni davvero imbarazzanti, come la Vittoria Puccini perennemente con le ciglia umide (qualcuno ha mai provato a farle interpretare un ruolo in cui non piange?) e Maurizio Coruzzi alias Platinette che fa il verso a Marlon Brando in Apocalipse Now ( 1979).
La pellicola è faticosamente tenuta in piedi da una buona direzione degli attori, dalla bravura tecnica del regista e da alcune performance di rilievo come quelle di Beppe Fiorello e Anna Proclemer, ennesima attrice ripescata dal passato dopo Lisa Gastoni (Cuore Sacro - 2005) e Lucia Bosè ( Harem Suare - 1999).
Si chiude con una stucchevole satira sulla politica italiana e il condivisibile, quanto banale, auspicio di tolleranza umana.
Qualcuno avverta Ozpetek che in Italia lo sdoganamento dell'omossessualità è già avvenuto da parecchio.
Chi in questo film ha trovato simbologie del paese attuale (la figurina di Garibaldi?), scene di liberazione (la cappelleria dove delle trans lavorano, invece di prostituirsi è un incredibile autogol) ha visto un altro film.
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